No alla centrale a biomasse a San Galgano
Raccogliamo firme per evitare questo ennesimo gesto sconsiderato nei confronti del nostro patrimonio culturale, storico e paesaggistico.
Il Comune di Monticiano (Si) ha previsto la realizzazione di una centrale a biomasse nel territorio comunale, nelle vicinanze dell'Abbazia di San Galgano. Il complesso composto dall'Abbazia di San Galgano e dalla limitrofa Cappella di Montesiepi è uno dei più suggestivi della provincia di Siena, e della Toscana in generale, e costituisce un indiscusso patrimonio culturale ed artistico di rilevanza nazionale. L'impianto suddetto sarebbe ben visibile dall'Abbazia di San Galgano e potrebbe quindi compromettere il valore estetico dei monumenti e del paesaggio circostante, recando un grave danno agli abitanti della zona, ai numerosi turisti e visitatori e di conseguenza anche alle strutture turistico-ricettive. Il comitato ''Ambiente e Salute di Monticiano'' ha scritto una petizione al Sindaco, raccogliendo cinquecento firme, per richiedere la sospensione del progetto e per approfondire la valutazione sull'impatto ambientale.
Marco Valenti - Professore di Archeologia Cristiana e Medievale - Università degli Studi di Siena - scrive:
A proposito di San Galgano e biomasse: "Tesoro, in un mondo dove i figli dei falegnami risorgono, tutto è possibile." (Dal film il Leone d'inverno, 1968, di Anthony Harvey).
In data 26 maggio 2012, dopo le prime notizie delle quali ero venuto a conoscenza sulle questione Biogas a Buonconvento, mi misi alla tastiera del computer e scrissi una lettera all'Amm.ne Comunale; lettera che ha avuto anche un certo successo essendo stata pubblicata in gran parte, ad opera di Tomaso Montanari (collega dell'ateneo napoletano e penna attentissima ai temi della tutela del patrimonio) nel Corriere della sera.
Perchè decisi già al tempo di prendere posizione?
Semplice; per la mia preoccupazione sul futuro del territorio comunale; soprattutto delle sue straordinarie forme paesaggistiche, storiche, antropiche e culturali in esso sedimentatesi, costituendo di fatto non solo la più importante eredità della popolazione ma anche una reale risorsa da tutelare con intransigenza, facendola diventare produttiva nell'ottica dell'economia dei beni culturali e paesaggistici.
Precisavo di scrivere in qualità di cittadino che vuole esprimere il suo pensiero, nelle facoltà concessemi dall'articolo 21 della Costituzione italiana (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), nonché dall'articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (“Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”).
Intervenivo, inoltre, perchè il mio mestiere, cioè l'Archeologo, mi ha dato modo di conoscere bene la realtà paesaggistico-territoriale ed archeologica del territorio di Buonconvento; avendo curato la redazione della carta archeologica del comprensorio comunale; essendo impegnato insieme al Comune nell'impresa archeologica sul contesto di Santa Cristina, con prospettive ambiziose di valorizzazione ed apertura al pubblico di questo magnifico sito, caratterizzato da una storia insediativa importante iniziata nel II secolo a.C. e protrattasi sino al IX -X secolo d.C.
Lo stesso farò oggi, in questo strano agosto, perché le notizie che mi arrivano sulla progettazione di un impianto a biomasse non distante da San Galgano mi obbligano moralmente ed istituzionalmente ad intervenire dicendo la mia opinione.
Opinione che non è e non sarà dissimile da quella che ho citato.
Il mio legame con il comprensorio comunale di Chiusdino e soprattutto con il suo formidabile paesaggio (una delle “cartoline” della Toscana nel mondo), realtà sulla quale lavoro con spirito di servizio, conoscenza e valorizzazione dalla seconda metà' degli anni '90 del secolo scorso (carta archeologica del comune e poi le imprese di scavo) mi ha quindi causato stupore quando ho appreso del progetto per la realizzazione di impianti in comprensorio comunale di Monticiano ma nei pressi dello straordinario complesso monumentale.
Impianti che interesseranno alcune aree ma che a ricaduta vedranno i loro effetti allargarsi al cuore del territorio.
Un territorio ricchissimo di archeologia e di contesti monumentali, dal potenziale ancora molto alto, con un'area archeologica, quella di Miranduolo, dall'enorme potenziale conoscitivo noto all'intera comunità scientifica europea con una storia che inizia nel VII secolo per terminare nel XIV secolo e che intendiamo continuare a indagare (nonostante le enormi difficoltà dei tempi odierni) e trasformare in un parco archeologico che rappresenterà una delle tappe fondamentali di un itinerario culturale sull'intero comprensorio comunale con San Galgano come polo centrale.
Non entrerò, in assoluto ed in linea generale, nel merito dell'opportunità o meno di realizzare tali tipi di impianti, dei possibili benefici e problemi che possono creare; non mi compete e, pur avendo le mie opinioni, non ho certo la professionalità per poter disquisire in tale direzione; esistono altre sedi specifiche di dibattito e confronto, nonché associazioni ed enti delegati, per trattare tali aspetti.
Ma il problema che io vedo è di ben altra natura ed investe l'aspetto ed il ruolo che il paesaggio detiene come bene culturale.
Buonconvento, come Chiusdino, sono zone di grandissimo pregio, ed hanno da questo punto di vista, non solo un patrimonio di altissimo livello, non valorizzato, ma anche una responsabilità molto pesante.
Ricordatevi che, sempre e incessantemente, a qualunque costo, il paesaggio deve essere posto al centro degli interessi collettivi, tutelandolo per la sua natura, il suo valore e la sua eredità storica: caratteri che non devono essere assolutamente stravolti.
Anzi è sul paesaggio che si deve investire in conoscenza e valorizzazione, per creare nuovi sviluppi economici sostenibili.
E' evidente che oggi, in Italia, la cultura dominante, la politica che viene svolta dalle più alte sfere governative, hanno ormai scisso del tutto la storia dalla geografia e non percepiscono più i paesaggi come luoghi autentici, nei quali la storia si è stratificata; ma sono oggetto, invece, di iniziative urbanistiche ed economiche incaute e talvolta inutilmente violente, mirate sempre al consumo non rinnovabile di ampie superfici di territorio, talvolta al profitto, quasi sempre alla pura rendita.
Questo rende sempre più necessario pensare soprattutto il recupero e la tutela delle proprie specificità; ma non tramite un attendistico immobilismo lasciando che il territorio si tuteli da solo, bensì attraverso azioni tese ad arrestare il processo di aggressione e di mercantilizzazione dei paesaggi contemporanei e il loro svilimento a meri contenitori di rendita.
Il mantenimento del proprio paesaggio e delle realtà in esso stratificate, costituisce da un lato il grado di civiltà di un paese, dall'altro, lo ribadisco, il volano per corretti sviluppi economici e per articolare nuove o rinnovate politiche turistiche e servizi progettando reti di visita e soggiorno che attraggano famiglie e turisti sul territorio.
L’unica via da perseguire è quindi e senza alcun dubbio o remora quella della qualità; la qualità di ciò che facciamo, pronti di conseguenza ad assumere un ruolo e un peso rinnovato, se ciò potrà avvenire, quando il paesaggio (il grande malato d'Italia, come ben indicato da Salvatore Settis nel recente libro, dicembre 2010, "Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile") tornerà, non solo a parole, al centro degli interessi con il recupero della sua memoria storica: i danni al paesaggio (intendo alla sua storia e quindi alle forme diacroniche del suo modificarsi, dell’uso e della sua frequentazione antropica) ci colpiscono tutti, come individui e come collettività.
La qualità del paesaggio e dell'ambiente, la sua origine storica e la sua eredità storico-monumentale non sono quindi un lusso ma una necessità ed il miglior investimento in prospettiva.
Questa finalità dovrebbe, imprescindibilmente, essere considerata ineludibile e vitale da parte di tutti i governi e dalle amministrazioni pubbliche.
Le forme storiche del paesaggio, con le quali conviviamo, necessitano infatti di conoscenza diffusa per poi essere preservate, valorizzate e intelligentemente rese produttive per la collettività, costituendo la nostra più grande eredità che non deve essere assolutamente dilapidata come invece avviene: o nell'immobilismo oppure nella ricerca di apparentemente facili avventure economiche che obbligatoriamente lasceranno un segno.
Così facendo si porta un contributo di qualità alla costruzione di serie e responsabili politiche territoriali, delle quali oggi si sente un'enorme necessità, visto e constatato da oltre quarant'anni lo stato di deturpamento delle nostre campagne, una cementificazione mai davvero controllata, l'erosione di molte aree boschive e colture tradizionali, i vari eco-mostri che la punteggiano e lo stato spesso deprecabile del patrimonio culturale, archeologico, monumentale.
Anzi è su esse che si deve investire ed a confronto di periferie sempre più allargate, deturpate sin dalla loro nascita e al tempo stesso deturpatrici; in questa direzione la ricerca della qualità nel territorio dovrebbe essere intesa come vitale.
Invece si va nella direzione opposta e non si intravedono cambiamenti di tendenze, nonostante le levate di scudi sempre più pressanti di personalità eccellenti e di primo piano della cultura mondiale.
Il paesaggio deve essere rispettato; quindi rispettate le istanze del patrimonio e della sua conservazione e valorizzazione.
Il patrimonio deve assumere, una volta per tutte, quel ruolo di primo piano che gli compete nell’economia del paese e nel caso specifico della Val di Merse, dove la vicenda San Galgano non si dovrebbe neppure porre; qui la storia dell'uomo vi ha lasciato una formidabile eredità da far fruttare.
In questa direzione peraltro, rispetto all'atto fondante del sistema dei beni culturali, cioè la legge 1089 del 1939, si è passati progressivamente a un diverso equilibrio in cui la valorizzazione si colloca allo stesso livello unitamente alla gestione, sottolineandone gli aspetti di servizio pubblico.
Il crescente ruolo della valorizzazione si esprime così, sia a livello di normativa costituzionale sia di Codice dei beni culturali, nell'individuazione dei soggetti titolari di questa funzione, che non esclude lo Stato ma evidenzia il necessario protagonismo delle Regioni e degli enti locali, includendo, con vari ruoli, i soggetti privati.
In questo quadro, acquista particolare rilevanza la valorizzazione territoriale che si caratterizza per l’evidenziazione dei contesti storici e geografici, se non paesaggistici, sui quali si è sedimentata la storia antropica in forme complesse e sui quali costruire itinerari culturali o comunque progetti tematici.
Tutti sappiamo bene di vivere in una nazione nella quale si fa molta fatica a creare delle cose di qualità (che non siano solo effimero) pur avendo “materia” da plasmare in abbondanza; purtroppo, come sottolineava Blaise Pascal, in genere si è più attratti dalla mediocrità perchè è più difficile capire la qualità.
Questo avviene ma lungi da me, comunque, facili populismi; si tratta purtroppo di un indubbio scenario sotto gli occhi di tutti.
Non mi addentrerò ora nei complessi meandri delle cause e delle lamentele; neppure esporrò la mia personale opinione sui molti vizi di fondo che hanno portato negli anni una nazione sull'orlo del precipizio non solo economico, con danni causati in generale ai beni culturali, al paesaggio e in ultima istanza all'istruzione e alla conoscenza.
Ma voglio ricordare come l'ignavia voluta e le scelte politiche fatte si sono poste ormai in netta contraddizione con l'articolo 9 della Costituzione Italiana:
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Un articolo, è bene ricordarlo, straordinario nella semplicità della sua portata, ormai disatteso se non screditato a pura barzelletta.
Cultura e Conoscenza devono invece trovare una volta per tutte quel primato della centralità che li spetta e che la Costituzione Italiana attribuisce; sono i pilastri per la rinascita del nostro paese e per la formazione di cittadini liberi e responsabili.
I beni culturali costituiscono infatti una risorsa indiscussa ma vengono mortificati, se non ignorati nei fatti, mandando allo sfacelo il patrimonio; salvo poi indignarsi pubblicamente e con facilità imbarazzante di fronte agli eventi con maggior carattere mediatico (vedi i crolli pompeiani) e promettendo soluzioni che trovano serie difficoltà di attuazione e dilazioni nel tempo inaccettabili.
E nulla avviene oltretutto in favore del patrimonio diffuso, come la risorsa archeologica sul territorio (a torto definito minore e sottovalutato) che caratterizza la filigrana dell'Italia nella sua interezza. Allo stesso modo per i grandi monumenti.
Tanto “sono lì”, immobili e incorrotti, immersi nel paesaggio o in nuclei urbani ben conservati, si pensa; collocati in una dimensione irreale se non onirica: quel bel paese, in realtà ormai scomparso, oggi molto degradato e impoverito della sua eredità storica per incuria e mancata programmazione.
Eppure progettare sulla conoscenza dei beni culturali, rendendoli fonte di sostentamento nazionale e allargata all'intera collettività, darebbe lavoro e rendita a moltissimi giovani e a ricaduta grandi giovamenti all'economia nazionale.
Tanto più che, aldilà delle grida d'allarme di specialisti del settore o di poche menti avvedute, l'opinione diffusa vuole che il nostro patrimonio sia immenso e inesauribile: eppure Antonio Gramsci ci aveva ben messo in guardia, ricordandoci che l'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva
Solo appropriandoci del patrimonio culturale, nonché facendolo nostro, abbiamo la possibilità di aspirare a essere una sana nazione; con la speranza di contribuire ad auto sostenersi nel rispetto e nella valorizzazione dell'eredità storica.
Il patrimonio deve essere messo al centro della programmazione, senza mortificanti risparmi bensì investendo; senza negoziazioni.
Zone come San Galgano ed i loro dintorni devono essere tutelate senza condizioni, senza se e senza ma.
Questa non politica del bene comune, il non rispetto delle forme storiche del paesaggio, che anche nelle carte archeologiche trovano la loro materializzazione (e per Chiusdino esiste), ci hanno consegnato un'Italia martoriata da frane e alluvioni; migliaia e migliaia di persone vivono disagi quotidiani o in condizioni difficilissime e precarie grazie alle “magnifiche” trasformazioni che il territorio ha subito.
Si cementifica in ogni dove, anche in spazi a rischio e spesso non rispettando la risorsa archeologica e quella monumentale; non si cercano soluzioni alternative e ragionevoli privilegiando chi reinveste sul già esistente o recupera l'antico invece di far costruire nuovi alloggi e nuove strutture sino alle folli e improponibili new town nate dalla mente astorica di un costruttore di successo; non si tutela la risorsa culturale e storica delle sue forme ma le si stravolgono cinicamente con facilità.
Scriveva Antonio Cederna nel 1973 (avevo 13 anni, ora ne ho 54 ma sembra un pensiero pubblicato oggi....) “il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell’ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica. I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato: e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di “naturale” poiché la loro causa prima sta nell’incuria, nell’ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d’Europa e per l’incolumità dei suoi abitanti.” (…) “Fino a che la difesa della natura e del suolo non diventerà la base della pianificazione del territorio, fino a che questo non sarà considerato patrimonio comune (anziché res nullius, come è stato finora), continueremo a contare le morti e le distruzioni. Ma intanto questa Italia, sempre pronta a invocare la propria “povertà” per non fare le cose indispensabili, ha stanziato la settimana scorsa altri cinquecento miliardi di lire per costruire nuove autostrade”.
Come ho già detto credo che proprio la cultura debba essere un volano di crescita del nostro paese e che contribuisca anche a frenare la disgregazione del paesaggio, che ne è intriso.
Una società priva di dimensione culturale diffusa è infatti zoppa, non libera, scarsamente critica se non ottusa; autolesionista nel privarsi di risorse che costituiscono non solo il patrimonio bensì uno strumento di crescita da diffondere e sul quale investire.
Credo infatti nella missione di coltivare e far crescere educazione, coscienze e rispetto per il patrimonio, rendendolo fonte di sostentamento nazionale e quindi anche per molti operatori e nuovi laureati.
Solo imparando e appropriandoci del patrimonio, nonchè facendolo nostro, abbiamo la possibilità di arginare l'abbrutimento culturale in cui viviamo; con la speranza di contribuire ad autosostenersi nel rispetto e nella valorizzazione dell'eredità storica.
In altre parole: cibo per la mente ma anche per il corpo, nella ricostruzione e diffusione cognitiva del passato in dialogo con il presente e in esso vivo.
Lo scenario nazionale è ormai devastante. In fase di crisi, il "buongoverno" dovrebbe investire in settori strategici come ricerca, cultura, patrimonio. Invece, i governi recenti hanno tagliato le risorse indiscriminatamente. Con gravi conseguenze per tutti, difronte a un taglio di fondi pari al 30% in 10 anni, sebbene la cultura non si dovrebbe fare risparmiando.
Ripeto che, invece, investire sul sistema dei saperi, della creatività e dei beni culturali come campo d’azione significherebbe avere un progetto, creare reddito stabile per il paese e nuova occupazione; inoltre rendere la nostra comunità più libera e più coesa, invece che diversificata, complessa e portatrice delle tipiche e violente contraddizioni delle società urbane odierne.
In questo caso è vera la scellerata frase tremontiana che “con la cultura non si mangia”, ma lo è per cecità.
Questo territorio, meraviglioso, che è la Val di Merse, deve impegnarsi nel sostenere e superare la crisi economica terrificate che investe l'intero paese; ma non rincorrendo le sirene di facili guadagni.....di facile nella vita sapete meglio di me che non c'è alcunchè.
Bensì impegnandosi nello spirito di operare per il bene del patrimonio pubblico; è l'unica strada per non pentirsi già nel breve periodo delle opportunità perse, per garantire alla propria comunità il mantenimento e soprattutto la trasmissione del suo patrimonio preservandone l'aspetto, il suo contenuto, la sua bellezza e specificità, il mantenimento della tradizione agraria e rurale che con le sue forme vi ha regalato uno dei posti più belli per vivere.
La questione in questo caso non è per me ed a mio modo di vedere "biomasse si, biomasse no"; la legge ne permette la costruzione e saranno gli amministratori a dover ascoltare le istanze dei cittadini e tenerne conto.
Il problema è, se mai, di trovare altra collocazione ed in zona più periferica e di scarso impatto non solo visivo ma anche di circolazione ed eventuali snaturamento e riconversione delle colture locali.
L'area di San Galgano deve essere assolutamente protetta e risparmiata da possibili interferenze con la sua natura di straordinario monumento e paesaggio di una bellezza fuori dalla normalità'.
Capisco gli eventuali benefici economici ed in posti di lavoro che porterebbe l'impianto. Ma si trovino altre soluzioni e non si commetta quello che per me è un errore strategico madornale: ovvero legare il proprio nome ad un'operazione invasiva su uno dei più' spettacolari e suggestivi monumenti del mondo.
Questa è la mia opinione, per quanto può valere.
Marco Valenti
Professore di Archeologia Cristiana e Medievale - Università degli Studi di Siena
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