obiezione alla guerra e al servizio militare impegno per la difesa nonviolenta

TESTO DELLA DICHIARAZIONE DI IMPEGNO CHE SOTTOSCRIVIAMO, APPOGGIAMO, DIFFONDIAMO

PER L'OBIEZIONE ALLA GUERRA

PER L'OBIEZIONE (ANCHE PREVENTIVA) AL SERVIZIO MILITARE CHE LA PREPARA

PER ATTUARE E COSTRUIRE LA DIFESA NONVIOLENTA  

PER IMPLEMENTARE L'ALBO PUBBLICO DEGLI OBIETTORI APERTO A TUTTE/I

 

"Signor Presidente Mattarella, in piena facoltà le scrivo la presente per dichiararmi obiettore di tutte le guerre e della preparazione delle guerre mediante il servizio militare. L'ingabbiamento delle nostre forze armate nelle attuali strategie NATO non consente di attuare il "ripudio della guerra" stabilito nell'articolo 11 della nostra Costituzione. Tanto più che condivido pienamente l'opinione dell'antimilitarismo nonviolento, ribadita autorevolmente anche da Papa Francesco: "Oggi non esistono guerre giuste". L'aria che tira non solo in Italia ma in tutta Europa è quella di un ripristino di forme di mini-naja. In relazione a questa eventualità comunico da subito che, qualora dovessi ricevere la chiamata a presentarmi presso un ufficio militare preposto all'arruolamento, la mia risposta sarà un bel "Signornò!" antimilitarista. Non mi presenterò alla visita militare che dovrà verificare la mia idoneità. Non risponderò a questionari propedeutici che testassero le mie propensioni verso il servizio militare. Mi avvarrò del diritto universale umano di chiedere, per obbedienza alla coscienza, di adempiere agli obblighi di leva prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile orientato alla difesa nonviolenta; e quindi rispondente come il servizio armato al dovere costituzionale di difesa della Patria. Ritengo doveroso da parte dello Stato organizzare, applicando normative già in vigore conquistate dalla lotta nonviolenta, la mia formazione ed il mio inquadramento dentro un Corpo civile di pace, possibilmente europeo, per attuare l'impegno istituzionale dell'ONU alla sicurezza comune dell'Umanità. Solidarizzo, attivando i mezzi concreti di cui dispongo, con gli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori, russi, bielorussi, ucraini, israeliani e palestinesi, e con chiunque, giovane o meno giovane, rifiuti di partecipare alle guerre che si stanno combattendo in questo momento, in varie parti del mondo. Tenendo presente che presso l'Ufficio Nazionale Servizio Civile esiste per legge un elenco degli obiettori italiani alla Guerra per motivi di coscienza, chiedo che Ella rammenti al Ministro Crosetto che deve aggiornare tale elenco con il mio nome e che deve rendere consultabile tale elenco generale, essendo l'obiezione alla guerra un atto pubblico. Come già accennato, poiché - con spirito non individualistico ma collettivo - sono pronto a dare il mio contributo ad un modello di difesa della Patria fondato sulla forza della unione popolare di tutte/i, sottolineo che questa mia iscrizione all'albo degli obiettori deve prescindere dall'età anagrafica". 

 

Dopo aver sottoscritto il testo su cui sopra compilando il form che si trova su questa pagina web di petizioni.com: scrivere a (aggiungendo eventualmente considerazioni e motivazioni personali): protocollo.centrale@pec.quirinale.it – presidente(at)pec.governo.it – segreteria.ministro(at)difesa.it – sgd(at)postacert.difesa.it

 

Promotori:

Disarmisti Esigenti (progetto della Lega per il disarmo unilaterale)

Alfonso Navarra WhatsApp 340-0736871 email coordinamentodisarmisti(at)gmail.com

Lega per il disarmo unilaterale

Ennio Cabiddu, Luciano Zambelli

Lega obiettori di coscienza

Massimo Aliprandini

RETE IPRI CCP 

Maria Carla Biavati

Associazione Nazionale Per la Scuola della Repubblica ODV
Cosimo Forleo 

Reti di Pace
Emanuela Baliva

RADIO NUOVA RESISTENZA
Marco Zinno 

ODISSEA 
Angelo Gaccione

WILPF ITALIA  
Patrizia Sterpetti

FIRME INDIVIDUALI

Tonino Drago - Moni Ovadia - Enrico Peyretti - Luigi Mosca - Daniele Barbi - Filippo Bianchetti -Giuseppe Bruzzone - Beppe Corioni - Sandra Cangemi - Alessandro Capuzzo - Tiziano Cardosi - Giuseppe Curcio - Francesco Lo Cascio - Antonella Nappi - Elio Pagani - Marco Palombo - Claudio Pozzi -  Guido Viale - Enrico Gagliano - Marinella Correggia - Teresa Lapis - Mario Agostinelli - Antonio De Lellis- Giuseppe Paschetto - Francesco Zanotelli

Michele Santoro, contattato per telefono alle ore 11:00 dell'8 maggio 2024, firma. Va segnalato il seguente passo del programma della lista PACE TERRA DIGNITA', che si presenta alle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024: "L’Europa dovrà promuovere la cultura della pace nelle scuole e nelle università, sostenere il diritto alle obiezioni di coscienza e al rifiuto di combattere in tutto il mondo, creare un corpo civile di pace europeo".

Maurizio  Acerbo, via WhatsApp, alle ore 14:30 dell'8 maggio 2024

Nella Ginatempo, Laura Marchetti, Antonio Mazzeo, Giovanni Russo Spena il 10 maggio 2024, all'incontro dell'Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell'Università

 

 

Al link qui di seguito argomentiamo - con due articoli - l'iniziativa della dichiarazione di impegno pubblico per l'obiezione alla guerra e per la difesa nonviolenta

 

https://disarmistiobiettori.webnode.it/obiezione-alle-guerre-e-alla-mininaja/

 

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Perché e come lanciamo questa nuova Campagna di obiezione alla guerra e al servizio militare che la prepara
 

L'iniziativa "OBIEZIONE ALLA GUERRA", al di là del rischio più o meno incombente che l'Italia segua presto la Germania nel mettere su una specie di mini-naja alla svedese, è in ogni caso collegata: 1) all'autodefinirsi antimilitarista rispetto ad un servizio militare obbligatorio che può essere sempre ripristinato; 2) alla scelta di lavorare per l'organizzazione strutturata e permanente della difesa nonviolenta; 3) a sostenere il diritto umano all'obiezione di coscienza nel mondo, ed in particolare la Campagna "Object War" che organizza gli obiettori ucraini, russi e bielorussi; 4) alla pubblicazione dell'ALBO DEGLI OBIETTORI come prescritto dalla legge italiana che ha istituito l'Ufficio nazionale per il servizio civile.

L'incontro online di mercoledì 3 aprile 2024 - (4 aprile - 75esimo anniversario della N.A.T.O.) ore 18:00 - 20:00 - ne ha delineato impostazione e contenuti.

Si chiede in particolare l'adesione all'appello, sopra riportato, da pubblicizzare, "Signor presidente, in piena facoltà le scrivo la presente", etc.

L'attacco è evidentemente ricavato dalla canzone: "Il disertore", di Boris Vian.

link: https://us06web.zoom.us/j/87250293962?pwd=wRIflrlrBA6X7GWsmvoUgbFjmENxOb.1

(DOPO IL TESTO DELL'APPELLO TROVATE ARTICOLI DI DOCUMENTAZIONE E INTERVENTI DI RIFLESSIONE)

 

La Campagna, con un occhio focalizzato anche sull'obiezione preventiva alla mini-naja - con ogni probabilità - in arrivo (per decisione governativa che giunge sull'onda della tendenza NATO a "prepararsi per guerre ad alta intensità" e si sta palesemente coltivando, vedi proposte della Lega, nonostante le ambigue e fuorvianti smentite di Crosetto), è però sostanzialmente di carattere più generale e profondo.

E' obiezione alle guerre e al servizio militare che prepara e combatte le guerre, ed ha un bisogno vitale di coinvolgere attivamente gli studenti, la parte più aggregata del mondo giovanile, nella riflessione che precede la scelta: "Se la Patria - attraverso il governo in carica - mi chiamerà per verificare, con visite e test appositi, la mia reclutabilità nell'esercito cosa risponderò?"
È difficile, con l'aria che tira - ribadiamo - avere incertezze sulla tempestività dell'iniziativa. Il vento della militarizzazione, della corsa al riarmo, della economia di guerra, della intensificazione delle guerre e dello scoppio di nuove guerre si sta levando fortissimo e non c'è dubbio che nel prossimo periodo avremo da fronteggiare una vera e propria bufera. Fa parte di questo vento la decisione del governo tedesco, con il ministro Pistorius, di voler prendere a modello la mini-naja svedese, ed è quindi quasi certo che il governo italiano, prima o poi, seguirà a ruota.

Quando Crosetto smentisce con le sue parole si riferisce alla leva militare obbligatoria generale ("proprio non se ne parla!") non alla mini-naja che è cosa diversa. E' da tenere sempre presente che è tipico della retorica imbrogliona del potere negare un contesto più generale mentre si sta predisponendo un aspetto specifico che va a concretizzarlo... Per ergere un primo riparo alla retorica del "nemico alle porte cui bisogna sbarrare la strada" è utile tutto il lavoro di esame critico che porta a ridimensionare la presunta minaccia, ma anche la diffusione di conoscenze sulle possibilità di eventuale difesa che la disobbedienza popolare organizzata può offrire.

Per realizzare l'unità pacifista delle forze, cioè la cooperazione e la collaborazione sul concreto, il cuore della campagna che proponiamo è la dichiarazione di impegno a Mattarella delle giovani e dei giovani: "Sono un obiettore alle guerre! Non mi arruolo nell'esercito! Non tentate di coinvolgermi! Sono pronto a servire la Patria ma con la difesa alternativa, sperimentando i corpi civili di pace!"
Tutte le nostre argomentazioni che portano alla dichiarazione non escludono affatto cento altri possibili approcci alla scelta di voler essere inseriti nell'albo degli obiettori, da manifestare con impegno pubblico. 

Per l'adesione alla nostra iniziativa, che è radicata in una esperienza pluridecennale, ogni soggetto collettivo interpellato si concentri sulla dichiarazione che sopra abbiamo riportato.

Per i contributi alle motivazioni e per la modalità migliore per fare conoscere la Difesa Popolare Nonviolenta (anche nelle scuole: senza che, però, questo appaia un reclutamento all'"esercito alternativo") invece rifacciamoci al vecchio motto: "Che cento scuole rivaleggino". Nostro sforzo sarà di mettere in rapporto e collegare tutti i "cento fiori dell'obiezione".

Troviamo infine due articoli sulla pagina: https://disarmistiobiettori.webnode.it/obiezione-alle-guerre-e-alla-mininaja/

Articolo numero 1 
"Per una campagna di impegno pubblico: obiezione al servizio militare e alle guerre per costruire una difesa alternativa"
Alfonso Navarra – coordinatore dei Disarmisti esigenti - del Coordinamento politico Campagna OSM-DPN (Lega obiettori di coscienza, sede in via Pichi,1 - Milano)
(dopo aver consultato Tonino Drago, già presidente del Comitato DCNANV)
Milano – 25 marzo 2024 (ultima proposta, versione 3)

Articolo numero 2

Come secondo testo, un articolo di Alfonso Navarra che può completare molte nozioni utilizzate è l'anticipazione allegata che uscirà su QUADERNI DELLA DECRESCITA il primo maggio 2024.
Titolo: "La nonviolenza è la forza delle relazioni autentiche".
Il link alla rivista online diretta da Paolo Cacciari e Marco Deriu : https://quadernidelladecrescita.it/

 

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LA DEFINIZIONE DI OBIEZIONE DI COSCIENZA SECONDO ALDO CAPITINI, FONDATORE DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Aldo Capitini, il filosofo italiano della nonviolenza, definisce l’obiezione di coscienza come "l’opposizione a partecipare alla preparazione e all’attuazione della guerra, vista particolarmente come uccisione di esseri umani". Questa definizione mette in luce la sua visione dell’obiezione di coscienza non solo come un atto legale o politico, ma come un’espressione profonda di valori personali e morali che si oppongono alla violenza e alla guerra. 

Questa definizione di Capitini la troviamo, ad esempio, nel saggio "Le tecniche della nonviolenza", pubblicato all'inizio degli anni Sessanta dall'editore Feltrinelli. 

Secondo Capitini, l'odc non è necessariamente inerente al servizio militare. Per odc si intende il rifiuto ad obbedire a un comando dell'autorità in forza ad un imperativo della coscienza che può scaturire da una fede religiosa, da una concezione filosofica, da convinzioni politiche, da ragioni morali. 

 Vi leggiamo: "L'obbiezione di coscienza verso il servizio militare nella storia non solo di secoli, ma di millenni, si fonda su due tipi di ragioni. Il primo tipo è di non riconoscere a nessuno e nemmeno allo Stato il diritto di costringere un uomo ad agire contro la propria coscienza. Il secondo tipo è di porre come superiore al potere dello Stato il rapporto amorevole con tutti gli esseri umani (...). (Se noi esaminiamo i motivi che la giustificano nelle stesse dichiarazioni degli obbiettori , vediamo che in essa non c'è nulla di individualistico - ndr). Certo è che l'obbiettore di coscienza deve e vuole mostrare che non è un vile, che il suo motivo è umanitario e non utilitario; che se egli deve mettere in pericolo la propria vita, vuol farlo per un ideale che egli realmente professa. (...) C'è da osservare, infine, che l'orientamento all'obbiezione di coscienza non si arresta alla legge che la riconosce. (...) Nello sviluppo della guerra e nell'accrescersi immenso della sua capacità distruttiva, l'obbiezione di coscienza ha accresciuto il suo carattere collettivo di avvertimento a tutti, di avanscoperta di un pericolo comune, e non ci sono leggi o istituzioni che possono farla contenta se non quelle che per sempre sostituiscano efficacemente il modo bellico di regolare i conflitti che, con le forze atomiche, va ben oltre la soluzione dei conflitti stessi, e diventa disastro generale".

 

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LA LEGA OBIETTORI DI COSCIENZA ADERISCE AL 25 APRILE, INDETTO DA "IL MANIFESTO", INVITANDO ALLE OBIEZIONI CONTRO LA GUERRA SCENDE IN PIAZZA CON LO STRISCIONE: OBIETTIAMO ALLE SPESE MILITARI

 

Richiamando l'obiettivo della difesa popolare nonviolenta, il comunicato di adesione della LOC ribadisce che per resistere alla deriva bellica in corso occorre dire dei NO, ma anche sapere indicare dei SI concreti, chiarendo che sicurezza non è accanita difesa dei confini, ma sono i diritti di libertà e sociali garantiti dalla forza organizzata dell'unione popolare, che strategicamente si propone di fare contare l'opposizione maggioritaria alla guerra.

Con la prospettiva dello scioglimento della NATO e di tutte le alleanze militari che contraddicono spirito e lettera della carta dell'ONU, vi sono  i SI: al ricorso al dialogo e ai negoziati per risolvere le controversie internazionali, alla concessione dell'asilo politico agli obiettori e ai disertori di tutti i Paesi in guerra. SI alla promozione della cultura della pace e della nonviolenza, si alle lotte sociali per la dignità del lavoro e della qualità della vita. 

Quindi vi sono i NO: alle guerre, oggi sempre ingiuste, all'invio di armi all'Ucraina, ad Israele, a quanti altri, alla partecipazione armata ai conflitti, al ripristino anche parziale della leva militare, alle missioni militari all'estero. NO anche all'economia di guerra, ai tagli alle spese sociali per finanziare l'industria delle armi, all'aumento delle spese militari (per combattere "guerre ad alta intensità"!), alla ricerca bellica nelle nostre università. NO alla propaganda militare nelle scuole, no alla retorica della paura (che inventa o amplifica le "minacce"), alle politiche securitarie che mascherano la repressione dei movimenti sociali.

Questo che segue è il testo del comunicato diramato dalla LOC alla stampa:

25 APRILE RESISTIAMO ALLA GUERRA

all’organizzazione per la non  partenza di  figlie/i, nipoti,  padri e madri      per la guerra alle trattative di pace.  La Pace ha un prezzo. Per non avere uccisioni (milioni di morti nei prossimi anni) e distruzioni di intere città e paesi dobbiamo organizzare uno scambio e un accordo sui territori e sui confini fra stati. al rispetto del ripudio delle guerra (art.11) e ritiro delle truppe italiane dai paesi confinanti della guerra. allo scioglimento della Nato (organizzazione di esercitazioni aggressive e promotore di guerra nel mondo). alla promozione della cultura della pace nelle scuole alla difesa dei diritti umani in alternativa al militare. Creazione di  strutture  istituzionali. per la difesa popolare nonviolenta.   alla riduzione delle spese militari per la dignità  del lavoro e del reddito   SÌ al diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare SI alla protezione di disertori e renitenti SI  al mantenimento dello stato di diritto e non al codice militare o stato di guerra  

NO alla guerra in Europa, all’invio di armi in zone di conflitto; no alla partecipazione italiana al conflitto, no al ripristino della leva militare, no alle missioni militari all’estero NO all’economia di guerra, alla riduzione della spesa sociale per finanziare l’industria delle armi, no al riarmo e alla ricerca bellica nelle nostre scuole e università NO alla propaganda militare nelle scuole, no alle politiche securitarie . Fuori l’italia dalla guerra OBIETTIAMO E DISERTIAMO  

Lega Obiettori di Coscienza – v. M. Pichi 1 – 20149 Milano   

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CHE CENTO FIORI SBOCCINO: UNA CAMPAGNA PARALLELA DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO 

 

(N.B. - vi è il collegamento con "Object war" per gli obiettori ucraini e russi ed in una versione più recente del testo è stata inserita la richiesta dell'albo. Il punto politico è che, nell'impostazione del movimento nonviolento, la legge per la difesa nonviolenta deve essere ancora fatta e si glissa sul fatto che essa è stata già istituita in forma sperimentale. Mentre per Disarmisti esigenti & partners si tratta di partire per applicare bene quello che c'è, e che è stato poi stravolto o non implementato, per il MN si tratta di istituire ex novo con una legge ad hoc la difesa civile non armata e nonviolenta. A questo proposito è stata lanciata la Campagna "Un altra difesa e possibile". Altro punto fondamentale che distingue la nostra campagna di Disarmisti esigenti è la richiesta che l'Albo degli obiettori sia aperto a tutte/i, in quanto coinvolte/i nella difesa nonviolenta, a prescindere dall'età anagrafica).

 

I fondi raccolti dalla Campagna coordinata dal Movimento Nonviolento vengono utilizzati per finanziare i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia e Ucraina nelle loro attività, per garantire la difesa legale agli obiettori e disertori dei tre paesi, per organizzare le missioni di pace e solidarietà con le vittime della guerra, per ospitare in Italia esponenti nonviolenti coinvolti nel conflitto, per il lavoro di testimonianza e informazione.

In continuità con la  Campagna italiana, il Movimento Nonviolento partecipa anche alla #ObjectWarCampaign promossa dalle reti internazionali IFOR, WRI, EBCO-BEOC, Connection e.V.,  che chiede, alle massime istituzioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, protezione per coloro che nei paesi coinvolti si rifiutano di prendere parte al conflitto in armi.

 

Dichiarazione di Obiezione di Coscienza

Al Presidente della Repubblica, capo delle Forze Armate

Al Presidente del Consiglio e al Ministro della Difesa

Al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano

 

Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare.

Sono concretamente solidale con gli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori russi, bielorussi e ucraini; chiedo che vengano accolti, riconoscendo loro lo status internazionale di rifugiati.

Chiedo che il Governo italiano garantisca accoglienza, asilo e protezione a quei giovani di Russia, Bielorussia e Ucraina che rifiutano di prendere le armi e fuggono dal loro paese, così come il Parlamento italiano deliberò nel 1992 per gli obiettori e i disertori delle Repubbliche ex-Jugoslavia (Legge 390/1992 articolo 2, comma 2 bis).

Lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano ha emanato una circolare di preallarme per il personale militare che si deve considerare “pronto all’impiego”. Considerando che la leva obbligatoria nel nostro Paese è solo sospesa  e che tale sospensione resta a discrezione del potere esecutivo di Governo, dichiaro fin da questo momento la mia obiezione di coscienza.  Non sono disponibile in alcun modo a nessuna “chiamata alle armi”. Con la Costituzione italiana ripudio la guerra e voglio ottemperare al dovere di difesa della Patria con le forme di difesa civile e non militare già riconosciute dal  nostro ordinamento. Chiedo di essere considerato a tutti gli effetti obiettore di coscienza contro tutte le guerre e la loro preparazione, in qualunque modo si voglia chiamare l’uso di armamenti nelle controversie internazionali.

Sollecito il Parlamento all’approvazione di una Legge per l’istituzione della Difesa civile non armata e nonviolenta.

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Aggiunto poi:

Chiedo che il mio nome sia inserito in un Albo dove siano elencati tutti gli uomini e tutte le donne che, come me, obiettano alla guerra e alla sua preparazione.

 

(Dichiarazione aperta a tutti. Anche, in particolare,  ai cittadini in età di leva dai 18 ai 45 anni e anche ai ragazzi e ragazze che hanno già svolto il servizio civile sostitutivo, nazionale o universale)

 Per partecipare: stampare in cartaceo, compilare e spedire a Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona
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CHE CENTO FIORI SBOCCINO: UNA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI OBIEZIONE PROMOSSA DA RESISTENZA RADICALE, SOSTENUTA DA VITA DI SARA CUNIAL

 

(N.B. - L'iniziativa parte da Davide Tutino, di Resistenza Radicale, operante nell'ambito del movimento NO-VAX. Le sue definizioni di obiezione, disobbedienza e boicottaggio sono peculiari, non corrispondono a quanto elaborato e fissato, come caratteristica essenziale, dai più importanti "maestri" teorico-pratici della nonviolenza. Si veda ad esempio la definizione di obiezione ci coscienza sopra riportata di Aldo Capitini. E' notevole, in questa proposta di Tutino, l'appello alla disobbedienza delle Forze Armate in quanto tali, che andrebbe molto bene meditato nelle sue eventuali modalità di proposta e di adesione. Come distinguerlo da un invito formale al colpo di Stato? Bisogna che ci si ponga seriamente il problema perché nella strategia nonviolenta e democratica la forma non è distinguibile dalla sostanza...)

  

Dichiarazione di Obiezione di Coscienza "anticipata" (estratto) - testo completo rinvenibile su: 

https://www.votalavita.it/dichiarazione-anticipata-di-obiezione/

 

PREMESSA

L’Italia è in guerra contro la Russia, attraverso il sostegno al regime ucraino. Tale sostegno si è concretizzato dapprima nella esportazione di armi che colpiscono anche intenzionalmente la popolazione civile, quindi nella stipula di un patto bilaterale di intervento.

L’Italia è in guerra attraverso il sostegno politico e militare a Israele, e si rende corresponsabile del genocidio dei palestinesi a Gaza.

L’Italia è in guerra nel Mar Rosso e nel Mar Cinese Meridionale, ove partecipa alle azioni militari contro lo Yemen e contro la Cina.

La Presidente del Consiglio dell’Italia Giorgia Meloni in data 24 Febbraio 2024 ha sottoscritto un trattato militare con un paese in guerra, l’Ucraina.

Ciò fa seguito ad analoghi trattati stipulati da Francia e Germania, i cui governi mostrano un attivo interesse all’entrata diretta in guerra di tutti i paesi europei e della NATO. (...)

Tutto ciò è in contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione secondo cui “l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.”

Tutto ciò è in contrasto con l’articolo 245 del codice penale italiano, volto a punire chi ordisce trame per portare il paese in guerra:

Chiunque tiene intelligenze con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo Stato italiano alla dichiarazione o al mantenimento della neutralita’, ovvero alla dichiarazione di guerra, e’ punito con la reclusione da cinque a quindici anni…

Tutto ciò è in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2016, che nel preambolo afferma:

“I popoli d’Europa, nel creare una unione sempre più stretta tra loro, sono risoluti a condividere un futuro di pace basato su comuni valori.”

Tutto ciò è in contrasto con la carta fondativa della Organizzazione delle Nazioni Unite, secondo cui

“I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale…e pervenire con mezzi pacifici…alla sistemazione o alla soluzione delle controversie internazionali…2. Sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, fondate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione di popoli….”

Tutto ciò è in contrasto con lo stesso patto fondativo della NATO, nel quale all’art.1

“Le parti si impegnano, come stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite.”

Le azioni di guerra sono state intraprese dall’Italia contro la propria Costituzione, contro il diritto internazionale, contro i propri interessi e contro la propria tradizione culturale, arrivando addirittura ad avallare l’abominio giuridico della “guerra preventiva.”

 

Le azioni di guerra sono state intraprese dall’Italia contro la propria Costituzione, contro il diritto internazionale, contro i trattati internazionali firmati, contro i propri interessi e contro la propria tradizione culturale, arrivando addirittura ad avallare l’abominio giuridico della “guerra preventiva.”

IMPEGNO

Da tutto ciò consegue l’impegno che dichiaro di assumermi, e che invito ciascun altro ad assumersi sotto diversi rispetti, ed in particolare Come Essere (UMANO -NDR) che risponde delle proprie azioni alla propria coscienza.

a obiettare, disobbedire e boicottare ogni azione di guerra (...).

Mi impegno anche a promuovere attivamente (PRESSO IL PUBBLICO - ndr) l'obiezione, la disobbedienza e il boicottaggio nei confronti della guerra.

Assumendo questo impegno
Faccio appello alle forze armate, che hanno la forza e il dovere di disobbedire, per difendere la propria comunità;
Faccio appello ai giovani, che rifiutino di essere portati in guerra;
Faccio appello alle famiglie, che proteggano i propri componenti;
Faccio appello ai maestri e a tutte le guide spirituali, che ricordino il valore della disobbedienza.

 

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CHE CENTO FIORI SBOCCINO: L'OBIEZIONE DI COSCIENZA DEL M.I.R. PER RESISTERE ALLA GUERRA E STIMOLARE UNA ALTERNATIVA DIFENSIVA NONVIOLENTA

 

(N.B. - L'iniziativa è illustrata da un articolo del suo presidente nazionale Ermete Ferraro, che sotto riportiamo (senza le note). La decisione è di partire non nazionalmente ma con sperimentazioni su alcune aree territoriali. Ai gruppi e sedi locali del M.I.R. Ferraro propone di sollecitare interrogazioni e/o interpellanze nei rispettivi consigli comunali, chiedendo per quali motivi non siano state applicate le norme vigenti in materia d’informazione sui diritti e doveri dei cittadini iscritti nelle liste di leva ed eventualmente arruolati o richiamati a svolgere un servizio obbligatorio, ai sensi dell’art. 52 della Costituzione.  Considerando le diffuse inadempienze, propone di seguire anche la strada giudiziaria, diffidando formalmente Sindaci e Responsabili territoriali degli Uffici di Leva a darne a breve adeguata informazione. Laddove non si raggiungessero per questa via apprezzabili risultati, si potrebbero presentare alla magistratura esposti-denunce contro le persistenti omissioni, che danneggiano una notevole fascia della popolazione, compresa tra 18 e 45 anni, e quindi pari a circa il 28% degli italiani. Ferraro propone, inoltre, di lanciare una campagna informativa dal basso sul significato ed il valore dell’obiezione di coscienza. Per questo sarebbero da utilizzare comunicati stampa, volantinaggi davanti alle scuole ed alle facoltà universitarie e tutti gli altri strumenti disponibili, per raggiungere anche mediaticamente non solo i giovani arruolabili, ma anche persone adulte potenzialmente richiamabili alle armi. Il M.I.R. si impegnerebbe ad approntare quanto prima un modello di dichiarazione formale di obiezione di coscienza che si richiami alla normativa vigente (il Codice dell’Ordinamento Militare, ma anche le precedenti leggi in materia di OdC e di Servizio Civile). La dichiarazione farebbe riferimento in particolare a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 2097 dello stesso C.O.M.  L'avvertenza è che, se si vuole andare oltre un atto meramente simbolico ed ‘ufficializzare’ davvero la propria dichiarazione di obiezione di coscienza, essa andrebbe firmata e inviata per raccomandata A/R o P.E.C esclusivamente agli interlocutori effettivi, cioè gli Uffici Leva Militare dei rispettivi Comuni, i Centri Documentali (ex Distretti Militari) competenti per territorio e l’8° reparto della Direzione Generale della previdenza militare e della leva - Previmil).

 

Obiezione di coscienza per resistere alla guerra e stimolare un’alternativa difensiva nonviolenta

di ERMETE FERRARO - presidente del M.I.R.

Un ventennio senza leva

Più o meno 45 anni fa – quando in Italia si era nel pieno dell’esperienza del servizio civile alternativo a quello militare – scrissi in un articolo che sarebbe stato necessario “passare dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione”. Il senso di quella frase era che bisognava superare la fase meramente oppositiva e la routinizzazione della pratica del servizio civile, aumentando la consapevolezza che c’era un’alternativa nonviolenta da costruire. Ebbene, la situazione in cui ci troviamo è con tutta evidenza assai diversa da quella di allora ed è innegabile che, sebbene siamo sospesi tra una tremenda crisi climatica ed un allarmante crescendo bellico, la consapevolezza della drammaticità di questo momento e delle alternative da perseguire non sembra davvero adeguata.

Non c’è bisogno di ricorrere a profonde analisi sociologiche e psicologiche, infatti, per constatare come quasi tutte le ipotesi opposte alla logica consumistico-predatoria nei confronti dell’ambiente e di controllo militare delle zone d’influenza strategica ed economica siano progressivamente state derubricate a utopie per anime belle su cui ironizzare o, peggio ancora, a subdole minacce alla stabilità del sistema da denunciare e reprimere. Lo svilimento della politica a gestione furbesca e ‘pragmatica’ dell’esistente, del resto, non avrebbe potuto consentire di guardare lontano e più in profondità, ben oltre una realtà data quasi per scontata ed immutabile, ispirata com’è dal pensiero unico e dalle ‘monoculture della mente’.

Venti anni fa, in Italia si decise di archiviare per legge il servizio militare obbligatorio, aprendo la strada alla professionalizzazione delle forze armate e, al tempo stesso, chiudendo la fondamentale esperienza del servizio civile degli obiettori di coscienza e la sperimentazione di un modello alternativo di difesa. Quel “tutti a casa” governativo, in effetti, ha fatalmente provocato un progressivo assopimento delle coscienze rispetto all’intrinseca pericolosità per la pace e la sicurezza mondiale del complesso militar-industriale. Inoltre ha ridotto la possibilità di agire – per usare la terminologia gandhiana – sia sul piano ‘ostruttivo’ (con l’obiezione di coscienza come disobbedienza civile e rifiuto del servizio in armi), sia su quello ‘costruttivo’ (con una diffusa sperimentazione di forme di difesa civile, non armata e nonviolenta, di protezione civile popolare e d’interventi sociali dal basso, ispirati ai principi di equità e solidarietà.

Se è innegabile che nel nostro Paese l’affrancamento dei cittadini, soprattutto quelli più giovani, dalla coscrizione militare ha riconosciuto un’esigenza largamente avvertita, va però precisato che, sul piano legislativo, non è mai stato cancellato l’obbligo costituzionale di adempiere al “sacro dovere” di difendere la patria.  Il servizio militare, quindi, non è stato abolito bensì solo ‘sospeso’, lasciando salva la possibilità del Governo (non del Parlamento…) di ripristinarlo nei seguenti casi: “a) se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione; b) se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate”. Un’evenienza tutt’altro che remota, che potrebbe sconvolgere improvvisamente la placida inerzia degli italiani nei confronti dell’istituzione Forze Armate.

Vent’anni dopo…

I due decenni trascorsi hanno progressivamente fatto svanire non solo la consapevolezza del cittadino medio su come stanno effettivamente le cose in materia di difesa nazionale, ma anche affievolito la coscienza di ciò che ogni cittadino potrebbe fare – qui e ora – per contrastare l’incalzante militarizzazione della società, dell’economia e della cultura (a partire dalla pervasiva infiltrazione nella scuola e nell’università…) e per opporsi allo sdoganamento della stessa follia bellicista.  Ci sono voluti i venti di guerra, che soffiano sempre più forte sullo scenario europeo (mediterraneo e nord-orientale) per svegliare l’opinione pubblica dal sonno della coscienza e dai mostri che ha nel frattempo generato.  Ecco perché sempre più persone s’interrogano su come contrapporre una reale scelta di pace alla barbarie delle guerre, ma senza trovare risposte valide, diverse dagli appelli generici ed un po’ ipocriti di politici incapaci di offrire visioni globali.

Il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) – la più antica organizzazione italiana per la nonviolenza –s’interroga da molto tempo sul ruolo di un più ampio movimento per la pace che, oltre ad essersi assottigliato quantitativamente anche per un mancato ricambio generazionale, non ha forse saputo affermare a fondo e con decisione l’imprescindibilità della stessa pace dal disarmo e dalla smilitarizzazione. L’attenzione alla tutela del diritto ad obiettare al servizio militare – in assenza della coscrizione obbligatoria in Italia – di recente si era giustamente spostata sulla difesa di obiettori, disertori e resistenti alla guerra in altri contesti (paesi autoritari, dittature militari, stati interessati da conflitti armati), provocando involontariamente una rimozione del problema al nostro livello. Ora però, in un clima arroventato dal conflitto armato russo-ucraino e da quello israelo-palestinese, da più parti sono state avanzate proposte di opposizione attiva alla guerra.

  Infatti, sebbene la nostra Costituzione la ‘ripudi’, “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali”, non si è affatto ridotto il ruolo del sistema militare e dell’industria che lo alimenta. Al contrario, esso risulta sempre più presente non solo in ambiti connessi alla difesa nazionale, ma anche in contesti molto diversi (ricerca scientifica, telecomunicazioni e tecnologie digitali, tutela dell’ordine pubblico, protezione civile, sanità…), sui quali i militari stanno da anni esercitando la loro ‘mimetica’ influenza, presentandosi come provvidenziali ‘salvatori della Patria’. L’inasprirsi di situazioni esplicitamente belliche – unitamente alla pressione della NATO affinché i paesi membri aumentino le spese militari ed insieme con una diffusa tendenza ad ipotizzare il ritorno alla coscrizione militare obbligatoria – sta finalmente svegliando dal suo torpore la pubblica opinione rispetto alla possibilità di dover fronteggiare di nuovo una chiamata o richiamo alle armi.

Ma le proposte finora avanzate all’interno del movimento pacifista e disarmista, cui si accennava prima, sono state finora piuttosto deboli, frammentarie e caratterizzate da una carica più simbolica che fattiva. Una volta archiviate – benché non abrogate – sia la legge 230/1998 che prevedeva l’istituzione dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, sia la n. 64/2001, finalizzata ad istituire alternative difensive al servizio militare, il vuoto istituzionale in materia era ormai evidente. Si è cercato allora di colmarlo nel primo decennio degli anni 2000 con le campagne pacifiste a sostegno di alcune proposte più complessive cui ha aderito anche il M.I.R. – come quella legislativa d’iniziativa popolare su Un’altra difesa è possibile e quella che sostiene l’istituzione nel nostro Paese di un innovativo Ministero della Pace.

A volte ritornano

Eppure la via legislativa, sebbene importante, non è stata capace di mobilitare il mondo pacifista disarmista e antimilitarista, anche perché entrambi le proposte son rimaste impantanate nei meandri della burocrazia istituzionale. In quest’ultimo periodo, quindi, l’obiettivo si è spostato nuovamente sull’affermazione del diritto ad obiettare al servizio militare, cercando di svegliare le coscienze assopite di troppi connazionali, convinti che si tratti di una questione astratta e non attuale. Proprio dal M.I.R. infatti, era partita una riflessione su come impostare in modo efficace una campagna per rilanciare l’obiezione ad una coscrizione militare tuttora sospesa, ma non abolita. Le accelerazioni impresse dalle campagne lanciate dal Movimento Nonviolento prima e dai Disarmisti Esigenti poi hanno però impedito un confronto più ampio e trasversale, perseguendo una strada più simbolica che effettiva. Avendo ipotizzato una dichiarazione di obiezione di coscienza preventiva impostata più che altro come manifestazione d’impegno personale o come sottoscrizione di una petizione di principio, infatti, non costituiscono un atto formale nei confronti del Ministero della difesa, come viceversa sarebbe auspicabile anche alla luce della stessa normativa vigente in materia.

Se è vero, come suggerisce il titolo del paragrafo, che si profila sempre più concretamente l’ipotesi del ritorno ad un reclutamento generalizzato che sembrava superato, la risposta del variegato arcipelago pacifista dovrebbe essere di conseguenza meno simbolica e più concreta, oltre che auspicabilmente collettiva ed unitaria. Ma quali sono le considerazioni che ho avanzato all’interno del M.I.R. a tal proposito?

(1)  Il Codice dell’Ordinamento Militare (C.O.M). comprende già dal 2010 tutta la normativa concernente il “servizio militare obbligatorio” (sospeso dal 2005), il suo eventuale ripristino in seguito alla dichiarazione dello “stato di guerra” o di “grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale”. Anche in questo caso si prevede che il cittadino maschio arruolato possa dichiarare la ‘preferenza’ per un servizio civile non armato e/o per la vera e propria ‘obiezione di coscienza’, optando per un servizio civile (in enti, comuni e perfino all’estero, in missioni umanitarie non armate).

(2) Modalità e tempistiche per le operazioni riguardanti le operazioni di chiamata alla leva e di successivo arruolamento sono già prescritte dal C.O.M., ma dovrebbero comunque essere notificate ai cittadini mediante i prescritti manifesti comunali, specificando che il ‘servizio obbligatorio’ a cui sono chiamati riguarda coloro che saranno arruolati nelle tre armi della Difesa, ma anche quelli che scelgano di prestare un servizio civile alternativo a quello militare, in particolare se si dichiarano ‘obiettori di coscienza’, per la stessa durata di 10 mesi (prorogabili in caso di emergenza bellica) e con gli stessi diritti e doveri. La mancanza di adeguata e completa pubblicizzazione (con manifesto cartaceo e/o in via telematica) delle fasi del reclutamento e, in particolare, del diritto di obiettare entro 15 giorni dall’arruolamento, costituisce pertanto una grave omissione rispetto al compito demandato ai Sindaci – Ufficiali di governo – ma anche da parte degli Uffici Leva territoriali del Ministro della Difesa (cui spetta stabilire il modello di manifesto, indicando i titoli di dispensa, ritardo, rinvio, e le relative modalità, nonché le altre informazioni di cui all’articolo 1974).

(3) Considerando la grave mancanza di trasparenza amministrativa (manifesti di chiamata alla leva, opuscolo informativo, relazioni annuali al Parlamento), pur trovandoci ancora in condizioni ordinarie, è facilmente ipotizzabile che “in considerazione della eccezionalità e urgenza determinate dallo stato di guerra o di grave crisi internazionale” si procederà, come peraltro previsto, senza applicare gli articoli 7, 8, 10-bis, della stessa legge sulla trasparenza. Conseguentemente, la chiamata alla leva e quella successiva, sarebbero “sottratti all’obbligo di motivazione […] omessa in caso di assoluta indifferibilità e urgenza”, accogliendo le richieste solo se “compatibili con le esigenze di urgenza o segreto”.

Che fare?

L’avvio non condiviso di campagne nazionali sull’obiezione di coscienza da parte di alcuni soggetti della costellazione pacifista ha determinato per il M.I.R. l’oggettiva difficoltà di avviare quanto stava programmando da tempo, per non creare sovrapposizioni e situazioni contrastanti che potrebbero disorientare i nostri stessi interlocutori. D’altronde, considerata la centralità che questo aspetto riveste nella complessiva proposta nonviolenta, ecopacifista ed antimilitarista del nostro Movimento, non ci è sembrato giusto né opportuno desistere né limitarci a confluire acriticamente nelle campagne già avviate. Apprezziamo quanto alcuni amici della Fraternità dell’Arca stanno facendo per ricucire pazientemente il tessuto delle organizzazioni pacifiste su questo tema e ci auguriamo che questo sforzo dia risultati apprezzabili. Abbiamo comunque deciso di partire con specifiche iniziative di rilancio dell’obiezione di coscienza alla guerra e al militarismo, per adesso agendo sperimentalmente in alcune aree territoriali. La natura di queste iniziative è duplice: da un lato puntiamo a denunciare la palese mancanza di adeguata informazione da parte delle istituzioni a ciò preposte, dall’altro vogliamo andare oltre la controinformazione, per sensibilizzare i più giovani all’esigenza – etica e politica – di fare da subito impegnative e fattive scelte personali, dichiarando preventivamente il loro rifiuto del servizio militare e l’opzione per un servizio civile non genericamente ‘volontario’, ma mirante a un modello alternativo di difesa.

  • Nel primo caso, ai gruppi e sedi locali del M.I.R. interessati e motivati in tal senso si propone di sollecitare interrogazioni e/o interpellanze nei rispettivi consigli comunali, chiedendo per quali motivi non siano state applicate le norme vigenti in materia d’informazione sui diritti e doveri dei cittadini iscritti nelle liste di leva ed eventualmente arruolati o richiamati a svolgere un servizio obbligatorio, ai sensi dell’art. 52 della Costituzione.  Considerando le diffuse inadempienze, sarebbe possibile seguire anche la strada giudiziaria, diffidando formalmente Sindaci e Responsabili territoriali degli Uffici di Leva a darne a breve adeguata informazione. Laddove non si raggiungessero per questa via apprezzabili risultati, si potrebbero presentare alla magistratura esposti-denunce contro le persistenti omissioni, che danneggiano una notevole fascia della popolazione, compresa tra 18 e 45 anni, e quindi pari a circa il 28% degli italiani.  Ovviamente – è bene precisarlo – un percorso di questo genere servirebbe soprattutto a stimolare i pubblici funzionari ed a sensibilizzare i media sulla questione, con ovvie ricadute positive sull’opinione pubblica, tuttora largamente ignara e disinformata.
  • Nel secondo caso – naturalmente più specifico per un movimento nonviolento che persegua una metodologia fondata sull’azione dal basso e la resistenza civile – proponiamo di lanciare una campagna informativa dal basso sul significato ed il valore dell’obiezione di coscienza. Per questo possono essere utilizzati comunicati stampa, volantinaggi davanti alle scuole ed alle facoltà universitarie e tutti gli altri strumenti disponibili, per raggiungere anche mediaticamente non solo i giovani arruolabili, ma anche persone adulte potenzialmente richiamabili alle armi, ricorrendo ad esempio ai canali ‘social’, su cui pubblicare messaggi ma anche brevi video.
  • Tali azioni di denuncia e di propaganda dell’obiezione di coscienza, come strumento concreto per opporsi in prima persona alla guerra e al militarismo e perseguire una difesa civile e nonviolenta, prevedono ovviamente che chi le promuove sia anche in grado di offrire risposte reali alle persone che rispondano effettivamente a tale appello. Ciò significa che va approntato quanto prima un modello di dichiarazione formale di obiezione di coscienza che si richiami alla normativa vigente (il citato Codice dell’Ordinamento Militare, ma anche le precedenti leggi in materia di OdC e di Servizio Civile), facendo riferimento in particolare a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 2097 dello stesso C.O.M. Vanno comunque esposte con chiarezza le motivazioni personali del rifiuto di prestare il servizio militare e,  soprattutto, è opportuno esplicitare la volontà di contribuire ad organizzare in forma strutturata e duratura una Difesa civile, non armata e nonviolenta, formandosi ad essa in alternativa al servizio militare.
  • Allo stato, esistono già due facsimili di dichiarazioni, ma è del tutto evidente che si tratta di documenti che hanno un valore più politico-militante che di dichiarazione formale. Nel primo caso, inoltre, vengono individuati come destinatari delle dichiarazioni via P.E.C. il Presidente della Repubblica, quello del Consiglio, il Ministro della Difesa ed il Capo di S.M. dell’Esercito Italiano. Nel secondo, si tratta invece di una ura e semplice ‘petizione’ senza alcun valore ufficiale, da inoltrare eventualmente via P.E.C. anche al Quirinale, al Capo del Governo ed al Ministro della Difesa. Ebbene, se si vuole andare oltre un atto meramente simbolico ed ‘ufficializzare’ davvero la propria dichiarazione di obiezione di coscienza, essa andrebbe firmata e inviata per raccomandata A/R o P.E.C esclusivamente agli interlocutori effettivi, cioè gli Uffici Leva Militare dei rispettivi Comuni, i Centri Documentali (ex Distretti Militari) competenti per territorio e l’8° reparto della Direzione Generale della previdenza militare e della leva (Previmil).
  • Va ulteriormente precisato che una dichiarazione ‘preventiva’ di obiezione al servizio militare costituisce comunque un’anomalia dal punto di vista strettamente formale. In teoria, infatti, si dovrebbe attendere l’eventuale ripristino del servizio di leva obbligatorio, la chiamata alla visita di leva, formulando la domanda di OdC entro 15 giorni dall’effettivo arruolamento. Tenuto conto, però, che in uno stato di emergenza tempi e modi della procedura sarebbero inevitabilmente accorciati e semplificati, a danno della trasparenza amministrativa (come previsto dal già citato c. 4 dell’art. 1948 del C.O.M.), pur riconoscendo che si tratta sicuramente di un atto squisitamente politico, va sottolineato che ad una dichiarazione preventiva di OdC, sebbene burocraticamente irrituale, sarebbe difficile non riconoscere un effettivo valore, come esplicita manifestazione di volontà rispetto ad una possibilità già prevista da un Codice vigente e da leggi mai abrogate.

In conclusione

Alcune prime esperienze in tal senso sono state finora intraprese, all’interno del M.I.R. Italia, dalla sede di Moncalieri (TO) dovegrazie al suo stimolo, nel Consiglio Comunale da un gruppo consigliare è stata presentata una interrogazione scritta in merito ai motivi della mancata informazione dei cittadini sugli adempimenti relativi al servizio di leva.

Un’altra azione è stata portata avanti dalla sede di Napoli, in occasione della Giornata dell’OdC, con un comunicato stampa pubblicizzato anche dai media, che preannunciava successivi interventi di controinformazione e pubblicizzazione dell’OdC. Essi sono stati realizzati, finora, con volantinaggi davanti a quattro istituti scolastici superiori, che hanno consentito di raggiungere diverse centinaia di giovani del biennio col nostro messaggio e con informazioni dirette. In collaborazione con il Comitato Pace e Disarmo Campania (cui il M.I.R. Napoli aderisce da molto tempo), si prevede poi di proseguire con altri volantinaggi, di formulare e presentare una formale diffida legale al Sindaco di Napoli affinché adempia agli obblighi d’informazione in materia di Leva e di svolgere quanto prima una significativa manifestazione pubblica sull’obiezione come strumento di opposizione concreta e fattiva alla guerra ed al militarismo.

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CHE CENTO FIORI SBOCCINO: IMPORTANTI SVILUPPI DELLA INIZIATIVA DEL M.I.R. CHE DIFFIDA IL MINISTERO DELLA DIFESA E RICEVE UNA RISPOSTA IN DATA 22 LUGLIO 2024

La risposta a una comunicazione di diffida formale del MIR dell'8 luglio 2024 è una nota a firma del PREVMIL (Andrea Fannini, vicedirettore generale) e sostiene che tutto quanto contestato dalla organizzazione nonviolenta per il tramite del presidente nazionale Ermete Ferraro (e responsabile della sezione di Napoli) non sarebbe applicabile allo stato attuale, ma soltanto nel caso di un ripristino d'urgenza del servizio di leva, a causa di crisi internazionali coinvolgenti l'Italia.

La diffida del MIR di Napoli dell'8 luglio al Ministero della Difesa riguardava le attività informative dovute ai giovani interessati riguardanti i loro diritti e i loro doveri nell'eventualità di un ripristino del servizio militare obbligatorio

Ferraro osserva a tale risposta ministeriale, giudicata burocratica e insoddisfacente: "Così i giovani potranno essere informati sui loro diritti solo quando sarà troppo tardi, sotto procedure abbreviate proprio per l'emergenza..."

Il MIR di Napoli sta presentando alla Magistratura un esposto-denuncia sulla situazione.

Per info e contatti: CONTATTI  Ermete Ferraro, MIR – 349 3414190 – ermeteferraro(at)gmail.com – mirnapoli(at)virgilio.it

Il PREVMIL informa, in questa sua nota del 22 luglio 2024, che dopo la sospensione del servizio militare obbligatorio sono state sospese anche le attività dei consigli di leva e quelle degli uffici di leva. Ai sensi del COM (Codice dell'Ordinamento Militare) il ripristino della leva abbisogna di un decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. 

Secondo questa interpretazione del PREVMIL, gli unici adempimenti formali oggi esistenti in materia, in vista dell'eventuale ripristino della leva, sono la formazione delle liste di leva da parte dei Sindaci, che li devono trasmettere all'ufficio preposto del MinDifesa (appunto il citato PREVMIL - ndr).

Nulla pertanto viene fatto, né può venire fatto, in relazione alla chiamata alla leva, per il quale mancherebbe il presupposto giuridico fondamentale.

Per contatti con il PREVMIL: viale dell'Esercito 186 - 00143 Roma - tel. 06/ 469137003 - email prevmil(at)postacert.difesa.it

Quello che, per noi Disarmisti esigenti, emerge a prima vista, e su cui occorerranno opportuni approfondimenti, ed opportuni interventi giuridici, è la separazione operata nella pratica dalla burocrazia ministeriale tra liste di leva, non più compilate tenendo conto della categoria degli obiettori, e liste degli obiettori in servizio civile. E' come se fosse dato per scontato che la difesa della patria sia appannaggio esclusivo del personale organizzato dall'esercito professionale. Il servizio civile sarebbe altra cosa, non c'entrerebbe con questo compito. Ma questa implicita nella pratica amministrativa non è una interpretazione - anche inconscia - ammessa dalla Corte costituzionale e dalla legge. Se l'Amministrazione è fuori binario rispetto alla legge, diventa necessario agire per riportarla in riga. Questo ovviamente se si ritiene che vi siano spazi positivi di conquista nonviolenta nella legge, per quanto stravolta nella sua applicazione. Altra cosa è se si sta pensando, con motivazioni che vanno spiegate, a un più uno, a non attuare bene la normativa che c'è, ma a proporre per legge di iniziativa popolare una futuribile "altra difesa possibile" peraltro concretizzata burocraticamente da un dipartimento speciale...

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SEZIONE NOTIZIE STAMPA

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Il progetto Maven e "the Pit": notizie dal New York Times del 30 aprile 2024 (edizione internazionale)

 

sulla ricerca di tipo militare applicata sul campo (droni guidati dalla intelligenza artificiale) e su come da una base segreta in Europa i militari americani uccidono soldati russi. Il progetto Maven nasce da un contratto originario del Pentagono con Google.

In trenches, in Ukraine, cutting-edge warfare hits limits Nelle trincee, in Ucraina, la guerra all'avanguardia raggiunge i suoi limiti

Articolo in prima pagina di David E. Sanger. Edizione internazionale del New York Times- 30 aprile 2024

Sanger è un reporter della Casa Bianca. Autore di: “New cold wars”, un libro scritto con Mary. K. Brooks.  

Qui, riportandolo sotto, rinviamo al sito del NYT per la lettura dell’articolo, che tratta delle dure lezioni che gli strateghi militari USA stanno apprendendo dal laboratorio rappresentato dalla “guerra Ucraina”. Ecco il link: https://inytimes.pressreader.com/the-new-york-times-international-edition

Secondo Sanger, l'esperienza sul campo starebbe insegnando che non basta una superiorità tecnologica per vincere una guerra. I russi hanno imparato come interferire elettronicamente con i sistemi di guida di droni e missili. Ai quartieri generali del Pentagono e della NATO a Bruxelles hanno capito che una eventuale guerra diretta contro le truppe russe non sarebbe essenzialmente una cyber war ma un vecchio scontro di carri armati sul modello della Seconda guerra mondiale. Poi, nell’articolo, vi sono due notizie di interesse attuale. 1)       Si parla del progetto Maven, il programma del Pentagono, con l’Intelligenza artificiale, che punta a costruire sistemi di riconoscimento delle immagini per migliorare gli attacchi dei droni in zone di guerra. Sanger ricorda che il progetto Maven è nato in ambito Google con un contratto stipulato con il Pentagono di 9 milioni. Oggi gli elementi del progetto Maven sono stati rilevati da una sessantina di ditte coordinate da Palantir, una compagnia fondata da Peter Thiel. 2)       Si fa cenno a “The Pit” (la Fossa), un posto in una base segreta in Europa, di cui non si parla. E’ il centro in cui si sviluppano le tecnologie per targettare e colpire le forze russe. Le tecnologie in uso sono una evoluzione del Progetto Maven. “The Pit” è tenuta segreta perché il parlarne trascinerebbe la questione di quanto le forze USA sono quotidianamente occupate in modo diretto a cercare e uccidere le truppe russe.

Il senso dell’articolo è che ci fa capire meglio perché, anche nella guerra ultra-moderna, senza dimenticare la qualità della tecnologia impiegata,  la quantità delle truppe rimane un fattore importante. Extra articolo, elenchiamo noi alcuni motivi per cui la quantità delle truppe è ancora rilevante: Potenza di fuoco nello scontro di attrito: eserciti più numerosi e ben dispiegati permettono di aumentare la pressione che è cruciale per il successo del confronto militare Presenza sul Territorio: Una maggiore quantità di truppe consente di coprire più territorio e di mantenere una presenza fisica che può essere dissuasiva per l’avversario. Operazioni Multifunzionali: Le truppe possono svolgere una varietà di funzioni, dalla difesa al supporto logistico, dall’intelligence alle operazioni speciali. Resilienza e Ridondanza: Avere un numero maggiore di truppe può fornire una maggiore resilienza in caso di perdite e permettere la sostituzione o il supporto in diverse situazioni. Guerra Asimmetrica: In conflitti asimmetrici, dove le forze irregolari possono sfidare eserciti convenzionali, la quantità di truppe può essere un fattore determinante per il controllo del territorio e per la gestione delle popolazioni civili. Qui capiamo la spinta in atto, da parte dei governi europei, a rivalutare la leva obbligatoria che in Europa si sta manifestando con la reintroduzione di forme di mini-naja: la Germania fa da battistrada adottando il modello svedese. Noi proponiamo, in risposta, di rilanciare una campagna di obiezione di coscienza, anticipando le mosse dell’avversario militarista. 

In trenches, cutting-edge warfare is hitting limits

U.S. strategists learn hard lessons in Ukraine’s unforgiving laboratory

  • The New York Times (International Edition)
  • 30 Apr 2024
  • BY DAVID E. SANGER

The idea triggered a full-scale revolt on the Google campus.

Six years ago, the Silicon Valley giant signed a small, $9 million contract to put the skills of a few of its most innovative developers to the task of building an artificial intelligence tool that would help the military detect potential targets on the battlefield using drone footage.

Engineers and other Google employees argued that the company should have nothing to do with Project Maven, even if it was designed to help the military discern between civilians and militants.

The uproar forced the company to back out, but Project Maven didn’t die — it just moved to other contractors. Now, it has grown into an ambitious experiment being tested on the front lines in Ukraine, forming a key component of the U.S. military’s effort to funnel timely information to the soldiers fighting Russian invaders.

So far the results are mixed: Generals and commanders have a new way to put Russia’s movements and communications into one big, user-friendly picture, employing algorithms to predict where troops are moving and where attacks might happen. But the American experience in Ukraine has underscored how difficult it is to get 21st-century data into 19th-century trenches. Even with Congress having approved tens of billions of dollars in aid to Kyiv, mostly in the form of ammunition and long-range artillery, the question remains whether the new technology will be enough to help turn the tide of the war at a moment when the Russians appear to have regained momentum.

The war in Ukraine has, in the minds of many American officials, been a bonanza for the U.S. military, a testing ground for Project Maven and other rapidly evolving technologies. The American-made drones that were shipped into Ukraine last year were blown out of the sky with ease. And Pentagon officials now understand, in a way they never did before, that America’s system of military satellites has to be built and set up entirely differently, with configurations that look more like Elon Musk’s Starlink constellations of small satellites.

Meanwhile, American, British and Ukrainian officers, along with some of Silicon Valley’s top military contractors, are exploring new ways of finding and exploiting Russian vulnerabilities, even while U.S. officials try to navigate legal restraints about how deeply they can become involved in targeting and killing Russian troops.

“At the end of the day, this became our laboratory,” said Lt. Gen. Christopher T. Donahue, commander of the 18th Airborne Division, who is known as “the last man in Afghanistan” because he ran the evacuation of the airport in Kabul in August 2021, before resuming his work infusing the military with new technology.

And despite the early concerns at Google over participation in Project Maven, some of the industry’s most prominent figures are at work on national security issues, underscoring how the United States is harnessing its competitive advantage in technology to maintain superiority over Russia and China in an era of renewed superpower rivalries.

Tellingly, those figures now include Eric Schmidt, who spent 16 years as Google’s chief executive and is now drawing on lessons from Ukraine to develop a new generation of autonomous drones that could revolutionize warfare.

But if Russia’s brutal assault on Ukraine has been a testing ground for the Pentagon’s drive to embrace advanced technology, it has also been a bracing reminder of the limits of technology to turn the war.

Ukraine’s ability to repel the invasion arguably hinges more on renewed deliveries of basic weapons and ammunition, especially artillery shells.

The first two years of the conflict have also shown that Russia is adapting, much more quickly than anticipated, to the technology that gave Ukraine an initial edge.

In the first year of the war, Russia barely used its electronic warfare capabilities. Today it has made full use of them, confusing the waves of drones the United States has helped provide. Even the fearsome HIMARS missiles that President Biden agonized over giving to Kyiv, which were supposed to make a huge difference on the battlefield, have been misdirected at times as the Russians learned how to interfere with guidance systems.

Not surprisingly, all these discoveries are pouring into a series of “lessons learned” studies, conducted at the Pentagon and NATO headquarters in Brussels, in case NATO troops ever find themselves in direct combat with President Vladimir V. Putin’s forces. Among them is the discovery that when new technology meets the brutality of oldfashioned trench warfare, the results are rarely what Pentagon planners expected.

“For a while we thought this would be a cyberwar,’’ Gen. Mark A. Milley, who retired last year as chairman of the Joint Chiefs of Staff, said last summer. “Then we thought it was looking like an oldfashioned World War II tank war.”

Then, he said, there were days when it seemed as though they were fighting World War I.

“THE PIT”

More than a thousand miles west of Ukraine, deep inside an American base in the heart of Europe, is the intelligence-gathering center that has become the focal point of the effort to bring the allies and the new technology together to target Russian forces.

Visitors are discouraged in “the Pit,” as the center is known. American officials rarely discuss its existence, in part because of security concerns, but mostly because the operation raises questions about how deeply involved the United States is in the day-to-day business of finding and killing Russian troops.

The technology in use there evolved from Project Maven. But a version provided to Ukraine was designed in a way that does not rely on the input of the most sensitive American intelligence or advanced systems.

The goals have come a long way since the outcry at Google six years ago.

“In those early days, it was pretty simple,” said Lt. Gen. Jack Shanahan, who was the first director of the Pentagon’s Joint Artificial Intelligence Center. “It was as basic as you could get. Identifying vehicles, people, buildings, and then trying to work our way to something more sophisticated.”

Google’s exit, he said, may have slowed progress toward what the Pentagon now called “algorithmic warfare.” But “we just kept going.”

By the time the Ukraine war was brewing, Project Maven’s elements were being designed and built by nearly five dozen firms, from Virginia to California.

Yet there was one commercial company that proved most successful in putting it all together on what the Pentagon calls a “single pane of glass”: Palantir, a company co-founded in 2003 by Peter Thiel, the billionaire conservative-libertarian, and Alex Karp, its chief executive.

Palantir focuses on organizing, and visualizing, masses of data. But it has often found itself at the center of a swirling debate about when building a picture of the battlefield could contribute to overly automated decisions to kill.

Early versions of Project Maven, relying on Palantir’s technology, had been deployed by the U.S. government during the Covid-19 pandemic and the Kabul evacuation operation, to coordinate resources and track readiness. “We had this torrent of data but humans couldn’t process it all,” General Shanahan said.

Project Maven quickly became the standout success among the Pentagon’s many efforts to tiptoe into algorithmic warfare, and soon incorporated feeds from nearly two dozen other Defense Department programs and commercial sources into an unprecedented common operating picture for the U.S. military.

But it had never been to war.

A MEETING ON THE POLISH BORDER

Early one morning after the Russian invasion, a top American military official and one of Ukraine’s most senior generals met on the Polish border to talk about a new technology that might help the Ukrainians repel the Russians.

The American had a computer tablet in his car, operating Project Maven through Palantir’s software and connected to a Starlink terminal.

His tablet’s display showed many of the same intelligence feeds that the operators in the Pit were seeing, including the movement of Russian armored units and the chatter among the Russian forces as they fumbled their way to Kyiv.

As the two men talked, it became evident that the Americans knew more about where Ukraine’s own troops were than the Ukrainian general did. The Ukrainian was quite certain his forces had taken a city back from the Russians; the American intelligence suggested otherwise. When the American official suggested he call one of his field commanders, the Ukrainian general discovered that the American was right.

The Ukrainian was impressed — and angry. American forces should be fighting alongside the Ukrainians, he said.

“We can’t do that,” the American responded, explaining that Mr. Biden forbade it. What the United States can provide, he said, is an evolving picture of the battlefield.

Today a similar tension continues to play out inside the Pit, where each day a careful dance is underway. The military has taken seriously Mr. Biden’s mandate that the United States should not directly target Russians. The president has said that Russia must not be allowed to win, but that the United States must also “avoid World War III.”

So, the Americans point the Ukrainians in the right direction but stop short of giving them precise targeting data.

The Ukrainians quickly improved, and they built a sort of shadow Project Maven, using commercial satellite firms like Maxar and Planet Labs and data scraped from Twitter and Telegram channels.

Instagram shots, taken by Russians or nearby Ukrainians, often showed dug-in positions or camouflaged rocket launchers. Drone imagery soon became a crucial source of precise targeting data, as did geolocation data from Russian soldiers who did not have the discipline to turn off their cellphones.

This flow of information helped Ukraine target Russia’s artillery. But the initial hope that the picture of the battlefield would flow to soldiers in the trenches, connected to phones or tablets, has never been realized, field commanders say.

One key to the system was Starlink, the Elon Musk-provided mesh of satellites, which was often the only thing connecting soldiers to headquarters, or to one another. That reinforced what was already becoming blindingly obvious: Starlink’s network of 4,700 satellites proved nearly as good as — and sometimes better than — the United States’ billion-dollar systems, one White House official said.

DREAMS OF DRONE FLEETS

For a while, it seemed as if this technological edge might allow Ukraine to push the Russians out of the country entirely.

In a suburb of Kyiv, Ukrainian high school students spent the summer of 2023 working in a long-neglected factory, soldering together Chinese-supplied components for small drones, which were then mounted onto carbonfiber frames. The contraptions were light and cheap, costing about $350 each.

Soldiers on the front lines would then strap each one to a two- or three-pound (a 0.9- or 1.4-kilogram) explosive charge designed to immobilize an armored vehicle or kill the operators of a Russian artillery brigade. The drones were designed for what amounted to crewless kamikaze missions, intended for onetime use, like disposable razors.

The broken-down factory near Kyiv encapsulated all the complications and contradictions of the Ukraine war. From the start, the Ukrainians understood that to win, or even to stay in the game, they had to reinvent drone warfare. But they could barely keep enough parts coming in to sustain the effort.

The mission of remaking Ukraine’s drone fleet has captivated Mr. Schmidt, the former chief executive of Google.

“Ukraine,” he said in October, between trips to the country, “has become the laboratory in the world on drones.” He described the sudden appearance of several hundred drone start-ups in Ukraine of “every conceivable kind.”

But by the fall of 2023, he began to worry that Ukraine’s innovative edge alone would not be enough. Russia’s population was too big and too willing to sacrifice, oil prices remained high, China was still supplying the Russians with key technologies and parts — while they also sold to the Ukrainians.

So Mr. Schmidt began funding a different vision, one that is now, after the Ukraine experience, gaining adherents in the Pentagon: far more inexpensive, autonomous drones, which would launch in swarms and talk to each other even if they lost their connection to human operators. The idea is a generation of new weapons that would learn to evade Russian air defenses and reconfigure themselves if some drones in the swarm were shot down.

It is far from clear that the United States, accustomed to building exquisite, $10 million drones, can make the shift to disposable models. Or that it is ready to bring on the targeting questions that come with fleets driven by A.I.

“There’s an awful lot of moral issues here,” Mr. Schmidt acknowledged, noting that these systems would create another round of the long-running debates about targeting based on artificial intelligence, even as the Pentagon insists that it will maintain “appropriate levels of human judgment over the use of force.”

He also came to a harsh conclusion: This new version of warfare would likely be awful.

“Ground troops, with drones circling overhead, know they’re constantly under the watchful eyes of unseen pilots a few kilometers away,” Mr. Schmidt wrote last year. “And those pilots know they are potentially in opposing cross hairs watching back . . . . This feeling of exposure and lethal voyeurism is everywhere in Ukraine.”

The American experience in Ukraine has underscored how difficult it is to get 21st-century data into 19th-century trenches.

 

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Da Il Fatto Quotidiano del 31 marzo 2024. Grande titolo in prima pagina: "LA LEGIONE STRANIERA PER ARRUOLARE MIGRANTI".

Occhiello: SEMPRE PIU' GUERRA. L'ESERCITO CERCA VOLONTARI PER LA PATRIA

Sottotitolo: GLI STATI MAGGIORI ATTENDONO L'ASSENSO DI CROSETTO. L'IDEA E' INGAGGIARE GIOVANI VENUTI DA FUORI IN CAMBIO DELL'ANTICIPO DELLA CITTADINANZA 

L'articolo è a pagina 2 ed è a firma di Alessandro Mantovani e Francesco Ricolfi. Titolo: "POCHI UOMINI PER LA PATRIA: ARRIVA LA LEGIONE STRANIERA"

 Qui di seguito un estratto dell'articolo citato

"L'idea (cui si lavora negli uffici degli Stati maggiori della Difesa - ndr) risponde alla stessa logica della riserva addestrata proposta da Crosetto (...). Non è questione di numeri, con la legge 110/2022 approvata dopo l'attacco russo all'Ucraina è stato bloccato il processo di riduzione degli organici previsto dalla legge Di Paola (244/2012): gli Stati maggiori ne vorrebbero di più ma i 160mila effettivi attuali tra Esercito, Aeronautica e Marina sono garantiti. Vogliono però militari più giovani anziché in servizio permanente dopo i 40 anni. Detto un po' brutalmente, non sanno che farsene di 20mila sottufficiali, spesso in là con gli anni, solo nell'Esercito.
Naturalmente l'evocazione della Legione Straniera (come ce l'hanno in Francia - ndr) fa discutere (...). Negli Stati Uniti, alle prese con la peggiore crisi di reclutamento degli ultimi 25 anni, il governo ha raddoppiato gli sforzi per prendere personale dalle comunità di immigrati. Il punto è proprio quello: il reclutamento delle forze armate si fa sempre più difficile, sempre meno giovani vogliono rischiare la vita per la patria. (In Germania Pistorius esclude il ripristino della leva obbligatoria ma parla del possibile ricorso agli stranieri - ndr). E' la stessa posizione di Crosetto, mentre nei Paesi scandinavi la coscrizione obbligatoria non è mai stata abolita o è stata ripristinata (Svezia) o estesa alle donne (Danimarca), anche in conseguenza della reale o presunta minaccia russa.
Problemi di reclutamento ci sono anche da noi. L'ultimo rapporto Esercito (2023) dà conto di "un rinnovato appeal verso la carriera militare con quasi 69mila domande presentate a fronte di 10mila posti messi a concorso"; periodici sondaggi assicurano che un giovane su tre, o addirittura due su cinque, guardano con attenzione alle forze armate. Però poi gli arruolamenti sono sempre un po' al di qua dei posti disponibili: secondo il rapporto Esercito, nel primo blocco dell'anno scorso sono entrati 2.138 volontari sui 2.200 previsti (sono 6.500 l'anno), in altri casi è andata peggio. Molti non si presentano, altri vengono scartati ai test, altri ancora preferiscono puntare subito alle forze di polizia che offrono stipendi iniziali leggermente più alti dei 1.100 euro di un Vfi (Volontario in ferma iniziale), una vita meno difficile, qualche rischio in meno e soprattutto maggiori garanzie di stabilità.
Da un anno c'è un nuovo sistema di reclutamento, ma solo una parte dei volontari in ferma annuale o triennale viene stabilizzata, altri sono destinati alle forze di polizia e altri ancora avranno solo qualche aiuto per il reinserimento. (...)
Pesa, ovviamente, il declino demografico: pochi figli, pochi giovani per servire la patria. Infatti anche da noi si parla di arruolare stranieri dal 2005 (anno della sospensione della Leva - ndr): dagli archivi del Senato esce una proposta di fine 2001 (...). (Forse siamo arrivati alla Legione Straniera di cui parlava nel 2006 il ministro Antonio Martino - ndr). C'è la destra al governo, ma potrebbe essere un caso".  

 

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Da Repubblica del 27 marzo 2024. Titolo: "In Europa crescono le spinte verso la leva obbligatoria. Ma Crosetto ribadisce il no italiano: “Meglio professionisti".

L'articolo è a firma di Stefano Baldolini

 Qui di seguito un estratto dell'articolo citato

"L’Italia ribadisce il no al ritorno della “naja”, il servizio militare obbligatorio. In controtendenza, nonostante i venti di guerra che spirano sempre più forti dalla Russia, i timori della Nato per un nuovo attacco di Putin dopo l’attentato al Crocus di Mosca, e le accelerazioni europee verso la leva obbligatoria.

È lo stesso Guido Crosetto a chiudere di nuovo all’ipotesi: "Non si è mai parlato di leva obbligatoria. Viviamo tempi difficili in cui, semmai, c'è bisogno di tanti professionisti formati, non di cittadini che fanno un anno di leva", dichiara il ministro della Difesa a a margine della celebrazione dei 101 anni dell'Aeronautica Militare, a Guidonia, presso Roma. Più riservisti dunque, come già annunciato dallo stesso Crosetto in gennaio scorso.

La posizione è condivisa dal presidente della commissione Difesa della Camera, Nino Minardo. "Ha ragione il Capo di stato maggiore della Difesa quando dice che le nostre forze armate sono assolutamente sottodimensionate. Tuttavia sono convinto che la risposta non sia la reintroduzione della leva militare ma la costruzione di una consistente riserva militare", dichiara il leghista, in dissonanza con il suo leader Matteo Salvini, da sempre sponsor del ritorno della leva.

Minardo fa riferimento all’audizione in Parlamento dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. "Siamo assolutamente sottodimensionati: 150mila è improponibile, 160mila che è quello che attualmente ci è stato approvato è ancora poco e con 170mila siamo al limite della sopravvivenza".

“Lo scenario rischia di complicarsi ancora di più”, afferma il Capo di Stato maggiore. Il riaffacciarsi del terrorismo internazionale si somma alle tendenze già in atto. E soprattutto alla corsa al riarmo di Putin.

In Russia, solo qualche giorno fa il ministro della Difesa Sergej Shojgu ha magnificato i piani per la crescita dell’armata russa. L’intelligence occidentale teme che Mosca userà la strage del Crocus per colpire Kiev. E forse per saggiare la capacità di risposta della stessa Alleanza atlantica.

Intanto il resto d’Europa si organizza. La Germania si prepara a reintrodurre la leva obbligatoria. O meglio: semi-obbligatoria, ispirata al modello svedese. La Danimarca, dove per gli uomini già esiste, la vuole estendere alle donne, con l’aumento dei mesi da 4 a 11 per entrambi i sessi. “Non ci riarmiamo perché vogliamo la guerra, ma perché vogliamo evitarla”, ha spiegato la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen, aggiungendo di puntare alla “piena uguaglianza di genere".

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Da ANALISI DIFESA - articolo del 15 gennaio 2024. Titolo: "Ritorno alla coscrizione: il modello scandinavo".

L'articolo è a firma di Alberto Scarpitta

L’evoluzione degli scenari internazionali sta portando in Europa ad una rinnovata percezione del rischio di un possibile conflitto convenzionale prolungato, di tipo simmetrico tra pari, ossia tra entità statuali tradizionali, con caratteristiche, ampiezza e pericolosità ben diverse dalle “operazioni di pace” cui le opinioni pubbliche occidentali sono state abituate da oltre vent’anni.

La guerra in corso in Ucraina, tra le molte lezioni fornite, ha evidenziato in modo drammatico la perdurante importanza della dimensione quantitativa nelle operazioni militari, un fattore numerico che solo in parte può essere rimpiazzato dalla superiorità tecnologica, vera o presunta che sia.

Tali considerazioni stanno dando vita nel continente ad un ampio dibattito sulla rinnovata attualità della coscrizione obbligatoria (abbandonata o sospesa quasi ovunque dopo la fine della Guerra Fredda), quale unico strumento in grado di garantire alle forze armate, ed in particolare agli eserciti, una consistenza numerica adeguata alle nuove minacce, assicurando l’esistenza di un’ampia riserva di mobilitazione addestrata.

Accanto a tali motivazioni esterne legate alla crisi internazionale il dibattito viene alimentato in molti Paesi anche da cause endogene, in genere legate al “calo delle vocazioni”, ossia alla crescente difficoltà incontrata da molte forze armate professionali nel reperire un numero sufficiente di volontari da arruolare, con conseguente cronica sottoalimentazione delle unità attive e gravi carenze in diversi ruoli chiave.

In alcune nazioni europee la riduzione degli organici così generata sta divenendo grave, complici non solo le tensioni con la Russia ed il rischio di un confronto militare diretto con Mosca ma anche problematiche sociologiche, economiche e politiche più complesse.

Nella generalità dei casi le ipotesi allo studio sul ripristino della leva che animano il dibattito non sembrano però riguardare  un semplice ritorno al servizio generalizzato del passato, quello che era destinato a dare vita ad eserciti di massa composti quasi esclusivamente da coscritti, ma proporrebbero forme innovative e selettive di coscrizione obbligatoria, destinate ad integrare ed affiancare le attuali forze professionali con una componente di supporto e di riserva, da mobilitare in caso di necessità.

In buona sostanza quello di cui si avverte l’esigenza in molti Paesi, compresa l’Italia, appare essere un servizio in grado di fornire alle Forze Armate il personale da adibire a mansioni di seconda linea da attivare in caso di crisi o di grave emergenza nazionale, compiti, se vogliamo, analoghi a quelli affidati negli eserciti anglosassoni alle componenti di riserva volontaria professionale, come la National  Guard statunitense, il Territorial Army britannico o le analoghe formazioni canadesi ed australiane.

Presso molti osservatori cresce pertanto l’interesse per i modelli di coscrizione obbligatoria rimasti in essere, in forme ed articolazioni differenti, anche nel dopo guerra fredda, con particolare rifermento al “modello scandinavo”, un sistema che si è dimostrato in grado di dare vita a strumenti militari flessibili, capaci di evolversi in tempi brevi per fronteggiare condizioni geo-politiche mutevoli.

Dei quattro Paesi scandinavi tre, Svezia, Norvegia e Danimarca, possiedono forze armate composte in larga parte da professionisti e volontari a lunga ferma ed hanno adottato soluzioni sulla leva per certi versi simili. Risultano pertanto di particolare interesse, presentando caratteristiche che potrebbero essere trasmesse ed adottate, con le dovute specificità, in altre nazioni.

La Finlandia esula invece dalla nostra ricerca per la forma peculiare del proprio modello di difesa, basato su un sistema di coscrizione generale che dà vita, in sostanza, ad un esercito di milizia. Tutti i cittadini di sesso maschile ed età superiore ai 18 anni sono infatti chiamati a prestare, se fisicamente abili, un servizio militare obbligatorio di durata variabile di 165, 255 o 347 giorni, cui si aggiungono, negli anni successivi, diversi brevi richiami destinati a verificare l’efficacia delle procedure di mobilitazione e ad aggiornare le nozioni apprese in precedenza.

La lunghezza della ferma iniziale dipende dall’incarico assegnato e dall’idoneità del soggetto a svolgere incarichi di comando e di essere avviato alla formazione specifica per ufficiali o sottufficiali. Ogni anno sono circa 27.000 i coscritti finlandesi arruolati, corrispondenti all’80% di ogni classe maschile di leva, una percentuale tra le più alte al mondo. Come avveniva negli eserciti di massa della guerra fredda a questi numeri corrisponde una paga per il coscritto sostanzialmente simbolica, di pochi Euro al giorno. 

Un servizio limitato e selettivo

Interessanti ed innovative le scelte operate dalle altre tre nazioni della regione, che meritano pertanto di essere brevemente illustrate ai fini di una adeguata analisi comparativa. Esse risultano tra l’altro più rispondenti alle necessità di Paesi che, come il nostro, già possiedono uno strumento militare professionale e che affiderebbero ad un’eventuale rinnovata componente di leva solo compiti integrativi e di supporto.

Il carattere distintivo che accumuna i tre modelli di reclutamento è rappresentato dalla selettività. Solo una piccola percentuale dei soggetti costituenti ogni singola classe di leva viene effettivamente arruolata, con preferenza accordata a quanti richiedono volontariamente di prestare servizio.

Questo “obbligo volontario”, un ossimoro nel quale si fondono la generalità potenziale della coscrizione e la sua volontaria adesione, costituisce l’elemento più caratterizzante del sistema in vigore in quei Paesi.

La durata della ferma è generalmente breve, dai quattro ai nove mesi, 12 per la Norvegia, ed è remunerata adeguatamente, raggiungendo, soprattutto in Svezia e Danimarca, livelli di rilievo, a volte in linea con le retribuzioni civili (nel caso danese ad esempio un coscritto percepisce circa 1.500 euro mensili).

Un altro carattere fortemente innovativo presente in questi Paesi è rappresentato dal mutato rapporto tra il singolo e l’istituzione militare, che supera i vecchi stereotipi sulla leva. Il coscritto viene percepito e valutato come un cittadino con pieni diritti, parte di un team inclusivo in cui ciascuno è tenuto a fare la propria parte, pur nella diversità di ruolo, funzione, genere e capacità fisica o professionale. Anche il soldato di leva rappresenta una risorsa importante per la forza armata ed il periodo che trascorre sotto le armi deve costituire un pieno investimento funzionale, tanto per il soggetto che per il reparto nel quale è inserito.

La Norvegia

In Norvegia l’obbligo del servizio militare, mai sospeso, è stato esteso nel 2015 anche alle donne, primo caso in Europa e nella NATO, norma che consente che circa un terzo dei coscritti arruolati sia oggi di sesso femminile.

Il processo di reclutamento è diviso in Norvegia in due fasi. La prima prevede che tutti i cittadini ricevano, al raggiungimento dei 18 anni, un questionario da restituire compilato in cui fornire tutta una serie di dati relativi al proprio stato di salute fisica e mentale, all’eventuale presenza di precedenti penali ed al desiderio o meno di prestare servizio nelle forze armate in qualità di coscritto.

In alcune nazioni europee la riduzione degli organici così generata sta divenendo grave, complici non solo le tensioni con la Russia ed il rischio di un confronto militare diretto con Mosca ma anche problematiche sociologiche, economiche e politiche più complesse.

Nella generalità dei casi le ipotesi allo studio sul ripristino della leva che animano il dibattito non sembrano però riguardare  un semplice ritorno al servizio generalizzato del passato, quello che era destinato a dare vita ad eserciti di massa composti quasi esclusivamente da coscritti, ma proporrebbero forme innovative e selettive di coscrizione obbligatoria, destinate ad integrare ed affiancare le attuali forze professionali con una componente di supporto e di riserva, da mobilitare in caso di necessità.

In buona sostanza quello di cui si avverte l’esigenza in molti Paesi, compresa l’Italia, appare essere un servizio in grado di fornire alle Forze Armate il personale da adibire a mansioni di seconda linea da attivare in caso di crisi o di grave emergenza nazionale, compiti, se vogliamo, analoghi a quelli affidati negli eserciti anglosassoni alle componenti di riserva volontaria professionale, come la National  Guard statunitense, il Territorial Army britannico o le analoghe formazioni canadesi ed australiane.

Presso molti osservatori cresce pertanto l’interesse per i modelli di coscrizione obbligatoria rimasti in essere, in forme ed articolazioni differenti, anche nel dopo guerra fredda, con particolare rifermento al “modello scandinavo”, un sistema che si è dimostrato in grado di dare vita a strumenti militari flessibili, capaci di evolversi in tempi brevi per fronteggiare condizioni geo-politiche mutevoli.

Dei quattro Paesi scandinavi tre, Svezia, Norvegia e Danimarca, possiedono forze armate composte in larga parte da professionisti e volontari a lunga ferma ed hanno adottato soluzioni sulla leva per certi versi simili. Risultano pertanto di particolare interesse, presentando caratteristiche che potrebbero essere trasmesse ed adottate, con le dovute specificità, in altre nazioni.

La Finlandia esula invece dalla nostra ricerca per la forma peculiare del proprio modello di difesa, basato su un sistema di coscrizione generale che dà vita, in sostanza, ad un esercito di milizia. Tutti i cittadini di sesso maschile ed età superiore ai 18 anni sono infatti chiamati a prestare, se fisicamente abili, un servizio militare obbligatorio di durata variabile di 165, 255 o 347 giorni, cui si aggiungono, negli anni successivi, diversi brevi richiami destinati a verificare l’efficacia delle procedure di mobilitazione e ad aggiornare le nozioni apprese in precedenza.

La lunghezza della ferma iniziale dipende dall’incarico assegnato e dall’idoneità del soggetto a svolgere incarichi di comando e di essere avviato alla formazione specifica per ufficiali o sottufficiali. Ogni anno sono circa 27.000 i coscritti finlandesi arruolati, corrispondenti all’80% di ogni classe maschile di leva, una percentuale tra le più alte al mondo. Come avveniva negli eserciti di massa della guerra fredda a questi numeri corrisponde una paga per il coscritto sostanzialmente simbolica, di pochi Euro al giorno. 

La Svezia

Stoccolma aveva abolito il servizio militare obbligatorio nel 2010 ma solo 7 anni dopo lo ha ripristinato a partire dal 2018, per i giovano nati dopo il 1999, in una forma selettiva fortemente inspirata al modello norvegese.

Anche in Svezia, infatti, tutti i cittadini di entrambi i sessi sono tenuti, al compimento dei 18 anni, a completare un formulario on line, rispondendo a quesiti relativi al proprio stato di salute fisica e mentale, al livello di educazione scolastica raggiunto, ai propri interessi e caratteri della personalità. Infine debbono esprimere una valutazione personale sul servizio militare e sull’ipotesi della chiamata alle armi.

Sulla base delle risposte fornite l’amministrazione militare convoca, a fronte di una coorte annuale di quasi 100.000 giovani, circa 13.000 possibili candidati, prescelti per la loro motivazione e potenziale interesse al mondo militare. Da questi verranno tratti i circa 4.000 che saranno effettivamente arruolati (circa il 4% del contingente, per oltre quattro quinti maschi).

A tutti viene offerta la possibilità di aderire volontariamente e di servire in uno specifico ruolo, se fisicamente idonei. Tutto il processo mira a ridurre al minimo il numero dei giovani costretti a svolgere il servizio militare contro il proprio volere, obiettivo oggi sostanzialmente raggiunto ma che potrebbe allontanarsi nel prossimo futuro se, come pare, sotto la spinta della crisi internazionale il numero degli arruolati dovesse salire gradualmente fino a 10.000.

La durata della ferma varia tra 9 e 12 mesi, sulla base dello specifico incarico prescelto o assegnato, con la possibilità di ulteriori brevi richiami di aggiornamento, fino all’età di 47 anni. 

La Danimarca

La legislazione danese prevede un servizio militare obbligatorio di durata compresa tra 4 e 12 mesi, dal quale sono escluse al momento le donne, che possono però arruolarsi su base volontaria anche se recenti prese di posizione di esponenti del governo fanno pensare ad una prossima parificazione di genere anche in questo settore.

Attualmente tutti i cittadini maschi debbono presenziare, al raggiungimento dei 18 anni, al “Giorno della Difesa”, nel quale viene loro illustrato il sistema militare del Paese e le possibilità di impiego, anche stabile, che esso offre.

Tutti sono quindi sottoposti ad una visita medica che li dividerà in tre categorie: fisicamente abili al servizio, parzialmente abili o inabili. Per questi ultimi il processo si conclude senza ulteriori obblighi di leva, mentre gli appartenenti alle prime due categorie partecipano a quella che è sostanzialmente una lotteria, e si vedono assegnato un numero.

Su un totale annuale di circa 36.000 giovani fisicamente abili o parzialmente abili, i primi 8.000 estratti sono potenzialmente soggetti alla coscrizione, mentre gli altri, in tempo di pace, non verranno richiamati.

Gli elementi risultati parzialmente abili possono comunque scegliere di non essere arruolati, anche se inseriti tra i primi 8.000, mentre i soggetti abili sono tenuti obbligatoriamente a prestare il servizio militare, generalmente di soli 4 mesi, se il numero di volontari risultasse insufficiente a coprire le necessità delle forze armate.

Infatti, nonostante il carattere formalmente obbligatorio del servizio di leva, la quasi totalità dei coscritti danesi ha scelto volontariamente di essere arruolato, indipendentemente dal numero ricevuto nel “Giorno della Difesa”.

Nel 2022 tutti i 4.616 cittadini che hanno completato il servizio di leva lo avevano scelto volontariamente, con una quota femminile di circa il 27 per cento. La situazione potrebbe però cambiare radicalmente se il personale da arruolare ogni anno dovesse aumentare in modo consistente. Nel Paese è infatti in corso un dibattito tra le forze politiche che potrebbe portare nei prossimi anni il numero dei coscritti a 15.000.

Terminato l’addestramento di base e congedati, i militari di leva sono assegnati per cinque anni ad una specifica unità della riserva, cui dovranno presentarsi in caso di mobilitazione.

Il dibattito in Italia

Nel nostro Paese il dibattito sulla rinnovata attualità della leva ritorna periodicamente, di solito con affermazioni estemporanee, propagandistiche o demagogiche, prive di un concreto progetto innovatore. Ne è stato un esempio la cosiddetta “mini naia” attuata nel 2010 e poi sostanzialmente abbandonata, un breve servizio volontario privo di ogni significato addestrativo ed operativo: non è di questo che ha bisogno il Paese. Parimenti le Forze Armate non dovrebbero farsi carico del ruolo di educatore sociale, né garantire ai giovani quanto famiglie ed istituzioni scolastiche non hanno saputo trasmettere. Non è questo il suo ruolo.

Quello di cui si avverte semmai la necessità è una riserva addestrata destinata ad integrare in casi di emergenza l’esercito professionale, supportandolo in compiti di seconda linea. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto introducendo un servizio di leva limitato e selettivo, fortemente innovatore rispetto ai modelli del passato e di breve durata, orientato alla sola formazione militare di base e che privilegi gli aspetti tattici dell’addestramento rispetto a quelli formali.

Nel caso specifico i compiti che potrebbero essere assegnati a tali forze includerebbero:

  • Costituzione di reparti di fanteria leggera con compiti di sicurezza del territorio e delle installazioni vitali.
  • Supporto alle unità operative professionali per compiti di seconda linea, quali protezione delle retrovie, difesa di siti ed installazioni, gestione di emergenze e di prigionieri
  • Eventuale concorso alla costituzione di ulteriori unità a livello plotone/compagnia per potenziare battaglioni/reggimenti già in essere
  • Fornitura di complementi e rincalzi.

Tra i modelli scandinavi illustrati quello che meglio potrebbe adattarsi a tali necessità è quello danese, basato su piccoli numeri di soggetti sostanzialmente volontari, adattato alle peculiarità della società italiana. A vent’anni dalla sospensione della leva non esistono infatti più le strutture incaricate della prima ricezione del personale e delle valutazioni mediche e psico-attitudinali.

Sarebbe pertanto opportuno stabilire a priori i soggetti potenzialmente sottoposti all’obbligo mediante un’estrazione a sorte casuale, pubblica e verificabile. Successivamente solamente costoro affronterebbero la vera selezione nelle strutture attualmente in essere, eventualmente solo leggermente potenziate.

Per costituire una riserva di circa 20.000 uomini e donne mobilitabili all’emergenza potrebbe essere sufficiente arruolare ogni anno non più di 4.000 coscritti, da iscrivere nei ruoli della riserva per 5 anni. A costoro andrebbe garantito, a compensazione dell’obbligo cui il Paese li ha sottoposti, un trattamento economico analogo a quello riservato ai Volontari in Ferma Iniziale triennale. Tale retribuzione, unita alla breve durata del servizio, dovrebbe garantire un’alta percentuale di “coscritti volontari”, sia uomini che donne.

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