Istituzione del reato di lucro editoriale
È vergognoso chiedere agli autori contribuzioni per la pubblicazione delle loro opere. Gli editori, com'è d'uso tradizionale, devono investire capitali propri per far fronte alle spese di pubblicazione e porre in essere operazioni atte alla pubblicità, alla diffusione e alla vendita dell'opera pubblicata (ché pubblicare questo significa - non solo scopiazzare in qualche botteguccia che poi rivende magari all'autore stesso, che ha già pagato, le copie "a prezzo scontato" - mettere a disposizione del pubblico, o del paese o del mondo intero, l'opera stampata, distribuendola nelle librerie, mandandone saggi a critici, accademie, università, giornali e riviste specializzate, curandone traduzioni in altre lingue) e di lì trarre quanto occorre non solo per rifarsi delle spese, ma anche per realizzare il legittimo guadagno, che poi va equamente condiviso con l'autore.
Il quali autore ne ha il diritto massimo, perché è il solo a render possibile tutta l'operazione o l'insieme di operazioni descritte, col suo proprio personale e incomparabile ingegno, nonché con la sua fatica che talvolta occupa anni ed anni del suo tempo vitale, senza nessuna sicurezza di successo e di compenso e, perciò, con uno spirito di generosa ed assoluta gratuità e dono di sé all'umanità che, intanto, se non s'ingozza, beve e rutta con tutto il lezzo di vino spurio e intrugliato che le ammanniscono nelle bettole dove va a dimenticare la sua sfprtuna o la sua pochezza, piange sue miserie senza speranza di consolazione, come può esser questa che gli giunge insperata ed impensata a rinnovare in interiore homine il suo mobilio spirituale e attrezzeria umana e a rinfrescare il suo respiro esistenziale, come non san fare - fatta salva la buona fede - né gli intrallazzieri né i legulei né i faccendieri imbroglia-ingenui, né gl'industriali siddetti o i mercatanti, né gli scienziati né i politicanti, né i maestri né i consigliori, né i baciapile né i ripeti-biascichi dalle ginocchia arrossate, né i filosofari e i teologisti, né preti né cardinali né papi, né streghe né maghi o indovini, che indovinan le corna che han cervi su per i monti assolati... Insomma nessuno... Nessuno è in grado di dare speranza, almeno una che sia speranza di ingenerare una salvezza del mondo là dove appunto si trova la fabbrica del mondo, dentro l'uomo cioè, in quel dentro che ha nome anima, nessuno tranne gli artisti e i poeti e i musicisti, che lì operano appunto, nell'anima, nella fabbrica del mondo, a rinnovare il mondo.
Spero che da tutto ciò sia chiara finalmente la gravità di questo malcostume di editori o pseudo editori, e che questa gravità sia peso insostenibile sulla vostra anima, come sono i reati più gravi che sconvolgono il petto del mondo. Peso perciò da rimuovere chiedendo ai legislatori di istituire appunto il reato lì, di lucro editoriale, con pene comminate in base alla detta gravità, quali, fate conto, il carcere, la confisca dello stabilimento, se c'è, la restituzione raddoppiata o triplicata della somma estorta, a prescindere dal valore letterario o artistico effettivo dell'opera in oggetto, perché intanto c'è la frode, comunque perpetrata, che è colpa da punire.
Domenico Alvino
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